“Abbiamo assistito alla morte dei western e ci sarà un giorno in cui i cinecomic faranno la stessa fine. […] Naturalmente ora i supereroi sono vivi e vegeti, ma credo che la cultura popolare sia fatta di cicli finiti. Ci sarà un giorno in cui i miti saranno soppiantati da un altro genere a cui magari stanno già pensando i registi della nuova generazione”. Correva l'anno 2015 quando Steven Spielberg, l'uomo che più di ogni altro ha contribuito a plasmare l'immaginario cinematografico mondiale, pronunciava queste dichiarazioni fataliste sul futuro del cinecomic all'interno del cinema americano e mondiale. Sarebbe interessante chiedergli nuovamente un'opinione in merito oggi, dopo che Avengers: Endgame, ultima fatica del Marvel Cinematic Universe, è riuscito a incassare più di un miliardo di dollari nei primi cinque giorni di programmazione.

Il finale scioccante di Infinity War ci aveva lasciati con gli Avengers e tutti gli eroi della Terra dimezzati dalla follia genocida di Thanos, ma a dispetto delle aspettative Endgame non si concentra sulla rivincita delle forze del Bene, è più interessato invece a ritrarre i suoi eroi nel momento più basso delle loro vite. Costretti a fare i conti con il lutto e il senso di colpa, Captain America e gli Avengers rimasti affrontano una tragica crisi d'identità attraverso un percorso a ritroso nelle proprie esistenze, dalla genesi ai trionfi fino all'inevitabile caduta. Dopo 11 anni e 22 film all'attivo, l'universo narrativo orchestrato da Kevin Feige giunge alla conclusione tanto attesa del suo primo ciclo di storie, e l'approccio introspettivo scelto dai fratelli Russo per l'ultimo (?) capitolo della saga fa emergere un dato fondamentale per l'analisi di un'opera cinematografica di tale portata: la volontà di tirare le somme sull'evoluzione del genere nel corso della decade e sulla sua lenta ma inesorabile conquista dell'immaginario mondiale.

Il viaggio nel passato di Cap e soci diventa un tuffo nei ricordi di una generazione di spettatori che, fin dai tempi del primo Iron Man (2008), ha visto le proprie fila ingrossarsi a dismisura. Luoghi, eventi e parole di tutti i film precedenti vengono miscelati e riproposti sullo schermo, mettendo in luce pregi e difetti di un universo narrativo che ha pochi eguali nella storia. Come per le pagelle scolastiche di fine anno, Kevin Feige vuole dare i voti alle proprie fatiche, dalle più riuscite a quelle più deludenti, con il folle obiettivo di condensare un'intera decade di cinema in un unico film che onora i suoi predecessori e ne mette in pratica gli insegnamenti. Il risultato finale è un'opera mondo che sfonda le barriere del proprio genere, calamita l'attenzione di appassionati e neofiti e restituisce al cinema la sua funzione di rito collettivo. Basterebbe vedere la lunghissima battaglia finale tra Thanos e gli Avengers per comprendere la vera forza della macchina produttiva dei Marvel Studios: la capacità di sfruttare al massimo le potenzialità del grande schermo, di intrattenere e coinvolgere il pubblico in sala senza mai limitarsi di accontentare le aspettative ma solo superandole.

A conti fatti, anche le tanto discusse candidature agli Oscar di Black Panther assumono connotati diversi dopo l'uscita in sala di Endgame: i film per nerd e appassionati di fumetti che meritavano poca importanza sono diventati la spina dorsale dell'industria hollywoodiana, e il loro riconoscimento da parte dell'establishment è simbolo di una stagione di cinema ben lontana dall'esaurirsi. Difficile non pensare che, da qualche parte, Stan Lee stia ridendo di gusto nel vedere la sua creazione editoriale all'apice della popolarità e le sue fantasie superumaniste portate in trionfo come mai prima d'ora.