Un tonfo indecifrabile sveglia Jessica in piena notte. Nella scena seguente, altrove, gli antifurti di una serie di auto si attivano per poi spegnersi dopo poco. Si apre con questi due eventi Memoria, il primo film che Apichatpong Weerasethakul realizza al di fuori della Thailandia. Due avvenimenti misteriosi che non trovano spiegazione all'interno dell'immagine e che lasciano senza risposte tanto lo spettatore quanto Jessica (interpretata da Tilda Swinton, nelle vesti anche di produttrice esecutiva), alzatasi dal letto per cercare invano la fonte dello strano rumore. Sembra quasi che sia l'immagine stessa a innescarli, la presenza della macchina da presa, che con una lieve carrellata in avanti si avvicina furtiva alle auto.

Nel corso del film tali situazioni si ripetono, con uno scoppio improvviso che proviene da un autobus, un uomo che si getta a terra e poi fugge, altri antifurti e soprattutto il ritorno di quell'enigmatico boato, che sente solo la protagonista. Eppure sembra che non accada nulla di visibile o percepibile, niente che spieghi quegli eventi e niente che coinvolga i personaggi. Jessica cerca di indagare, consultando anche un tecnico del suono, ma in fondo sa (e noi con lei) che non è un rumore proveniente dalla realtà che la circonda. Sembra giungere direttamente da un altrove, come quegli impulsi che ci ridestano di soprassalto quando stiamo per addormentarci e che proviamo a rintracciare tentando di ricordare un qualcosa che non abbiamo mai vissuto.

Il cinema di Apichatpong Weerasethakul si muove proprio sulla linea che congiunge sonno e veglia, in una realtà che perde i propri confini e si apre a nuove percezioni. Come in Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, fantasia e realtà, passato e presente, vivi e morti si trovano a coesistere in un unico spazio e quello che Jessica non riesce a spiegarsi proviene da vite, luoghi e tempi diversi. E così il dentista è morto da un anno o forse è ancora vivo, forse Hernán, il tecnico del suono, non lavora in quello studio e forse quel rumore metallico, cavernoso e terroso al tempo stesso giunge da un futuro fantastico e remoto. La protagonista, dopo il lungo smarrimento iniziale, comincia a comprendere quando si apre al mondo e alla sua anima e la rivelazione le si presenta sconvolgente e liberatoria.

Con Memoria il regista thailandese sonda quindi il tempo e l'esistenza attraverso il superamento della realtà e dell'immagine stessa, trasformando il suono in esperienza visiva. Lo spettatore è trascinato in un placido viaggio nel controcampo del percepibile e il film sembra quasi nutrirsi del suo sguardo. Viene chiamato a indagare al pari di Jessica, e ancor più a trovare appigli, delle spiegazioni e un senso nelle immagini, nascosti tra i suoi fantasmi e dietro le sue ombre, fino a rintracciare storie e percorsi non visibili. I ritmi si dilatano e le inquadrature si allungano, (vengono in mente i tempi del cinema di Tsai Ming-liang) riflettendo sui misteri dell'immagine e sulla sua persistenza, che si congiunge con quella della memoria.