Sydney Sibilia è stato uno dei primi registi a prendere parte a quella rinascita del cinema di genere in Italia di cui si parla in questi anni. Il suo contributo si è concretizzato nella commedia, ibridata con influenze eterogenee, postmoderne e di ispirazione fortemente pop.

La trilogia di Smetto quando voglio (2014 – 2017) mostrava il tentativo di costruire un franchise cinematografico con una base comedy contaminata dal cinema di genere, mantenendo comunque un ancoraggio al film di denuncia sociale; L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), invece, riprendeva quelli che erano stati gli elementi decisivi del suo esordio portandoli ad un livello di production values ancora superiore.

Con Mixed by Erry (2023) si può dire che Sibilia sia arrivato indubbiamente a definire una personale tipologia di film. Il racconto che questo autore ripropone di pellicola in pellicola è sempre quello di una rivolta contro il sistema, operata da piccoli individui che insieme diventano estremamente forti. Il mantra “L’unione fa la forza” nel cinema di Sibilia raggiunge la propria espressione più compiuta, perché la squadra (o la “banda”, secondo il lessico di Smetto quando voglio) è sempre la dimensione giusta per raggiungere obbiettivi più grandi: Sibilia ce lo ricorda anche implicitamente iniettando sempre nei suoi film influenze da heist movie (genere che prevede proprio la presenza di una squadra al centro del racconto).

I protagonisti dei film di Sibilia sono sempre personaggi che devono fare i conti con una mancanza, la cui responsabilità è attribuibile al sistema, all’istituzione (l’università che non permette un ricambio generazionale; lo Stato che vuole mantenere il controllo sui propri confini; l’industria musicale che vuole avere il controllo sulla circolazione della musica) e a cui si può porre rimedio ricorrendo al proprio sconfinato bagaglio di conoscenze in una determinata materia.

I personaggi di Sibilia sono dei nerd, coltissimi nel loro campo, impacciati quando si ritrovano a gestire situazioni più quotidiane. Sibilia, pur rifacendosi esplicitamente alla commedia all’italiana, ha rotto con quella tradizione che proponeva dei protagonisti ignoranti, di cui si rideva proprio per la loro inettitudine; questa diversa modellazione dei personaggi permea i film di Sibilia di una carica fortemente epica, data proprio dal confronto tra la macchina dello Stato e i singoli individui, che proprio grazie alla loro cultura possono giocare la partita ad armi pari.

Tutti questi ingredienti, dall’ibridazione col genere alla tipologia dei personaggi, tornano anche in Mixed by Erry, con risultati non per forza esclusivamente positivi: Mixed by Erry, infatti, segue per l’ennesima volta tutte le tappe strutturali previste nel film-tipo di Sydney Sibilia e lo fa in maniera così evidente che determinati passaggi non sorprendono più come la prima volta e sembra quasi di trovarsi di fronte all’ennesimo capitolo di una saga che non è mai terminata.

Indubbiamente, però, Sibilia dimostra ancora una volta di essere in grado di proporre un tipo di commedia alternativa per ambizioni e target, che si rivolge quindi ad un pubblico diverso da quello della commedia italiana contemporanea, e che presenta una fattura di livello internazionale. L’ambientazione napoletana consente poi a Sibilia di inserire nel racconto la criminalità organizzata e di dare uno spazio, benché minimo, ad una spettacolarità visiva che negli altri film era più presente.

Mixed by Erry , inoltre, affronta apertamente un tema che negli altri film restava sottotraccia, il disorientamento difronte ai cambiamenti – tecnologici e/o sociali – al cospetto dei quali è necessario reinventarsi. Viene facile affiancare lo sforzo che fanno i protagonisti di questo film per reagire alle innovazioni tecnologiche allo sforzo che Sydney Sibilia e Matteo Rovere continuano a fare da diversi anni per proporre un cinema italiano nuovo, più in linea con la produzione internazionale.

Tutto il cinema di Sibilia sembra una grande metafora di questo cinema italiano che prova ad essere diverso, che si applica per proporre dei modelli alternativi, più ambiziosi e industriali nel concepimento, laddove la tradizione italiana ha frequentemente anteposto l’autorialità al lavoro industriale – e in questo la Groenlandia di Matteo Rovere ha dimostrato di avere la politica editoriale giusta –, che non si accontenti dei vecchi modelli e che non abbia paura di fare della rottura con la prassi la propria cifra stilistica.