Dopo il corale Sedimentos (2021) visto e premiato nella scorsa edizione, Adrián Silvestre torna al Gender Bender con My Emptiness and I (2022), basato sempre su esperienze personali dell’attrice principale ma definito dal regista “pura fiction”. Il film è inoltre incentrato questa volta sulla ricerca di una identità individuale e di un senso di comunità, con tutte le richieste e le pressioni sociali che tale ricerca comporta.

Mentre le protagoniste di Sedimentos partivano insieme, pur con tutte le loro differenze, per un viaggio collettivo che le portava a delineare i diversi modi di vivere la loro transessualità, Raphäel/Raphäelle Perez è inizialmente sola ad affrontare il percorso verso la transizione e non lo vede, almeno inizialmente, come una liberazione ma come un’ennesima richiesta di limitarsi all’interno di definizioni imposte da altri. Definizioni mediche, sociali, sessuali che non aiutano Raphi perché sono sempre e comunque dettate da un pensiero binario anche quando nascono dalle migliori intenzioni.

“Davvero non ha pensato ad un nome femminile?”, le chiede stupita la dottoressa che le diagnostica all’inizio del film la disforia di genere, stupore che il medico manifesta in un successivo incontro quando la ragazza le esterna tutti i suoi dubbi rispetto alla definitiva transizione e all’eventuale vaginoplastica. Fin dal titolo, diviso tra vuoto e affermazione dell’io, tutto il film verte sulla percezione di scissione e di polarità binarie che Raphi, nome che contiene maschile e femminile, avverte come un’imposizione e vuole invece ridiscutere nella sua identità. Non solo quelle centrali tra maschile/femminile e pene/vagina, ma anche la nativa Francia e l’adottiva Spagna, il lavoro grigio e di routine in un call-center e la passione per gli abiti estrosi e alla moda, esposizione sui social e intimità privata, vita vissuta e messa in scena teatrale.

Nel corso del film, la protagonista condivide il suo dubbio principale, ovvero se sia necessario che una persona debba arrivare a modificare il proprio corpo per trovare una comunità di riferimento e per essere socialmente accettabile, con colleghe, amici, gruppi queer (in cui ritroviamo anche le protagoniste di Sedimentos), medici, famigliari lontani e artisti. Tutti la sostengono, ma, in qualche modo, le chiedono di fare una scelta definitiva che Raphi sente dover invece essere l’esito di un percorso vissuto da lei in prima persona. Nel sesso, questa richiesta di conformarsi ad un ruolo è talmente dolorosa da farla piangere invece che realizzare l’orgasmo, fino a quando non scoprirà lei stessa che può porre dei limiti al partner maschile.

My Emptiness and I problematizza anche la relazione tra corpo, feticcio, social media e arti performative, in cui il genere diventa davvero motivo di performance e di costruzione: i diversi cambiamenti dei profili social di Raphi sottolineano il pericolo insito nel mondo virtuale e la necessità, ancora non del tutto realizzata, di renderlo un luogo sicuro per le persone trans. Ma ne mostrano anche le potenzialità creative: passando attraverso il dolore, gli insulti possono venire re-inventati ed entrare, come in questo caso, a far parte di un progetto artistico. La stessa messa in scena finale ribadisce, anche se Raphi sembra essere giunta alla consapevolezza dell’importanza della sua transizione, che il genere è performance ed è continuamente inventato in una fluidità lontana dal binarismo.