Sedimentos, il film del regista spagnolo Adrián Silvestre, merita, per riprendere lo stesso titolo, di essere lasciato a sedimentare in noi, stimolando domande sulle rappresentazioni cinematografiche della transessualità e riflessioni sulla tendenza ad omogenizzare gruppi percepiti come marginali a discapito delle singole individualità. Il film di Silvestre, il secondo dopo il pluripremiato Gli oggetti dell’amore (2016), è una riflessione sulla possibilità di narrazioni ibride e stratificate, come i paesaggi attraversati dalle protagoniste, in cui finzione e realtà si mescolano e le identità dei personaggi sono complesse e diversificate.

Sedimentos segue il viaggio di sei donne trans da Barcellona ad un piccolo borgo agricolo nella provincia di Léon dove una di loro, Magdalena, ha deciso di tornare a vivere per ricongiungersi con la sua famiglia. Silvestre intreccia scene di finzione, come il dialogo tra il gruppo e un bel tenebroso cameriere, con momenti di testimonianza delle singole donne sulle proprie esperienze di vita da transessuale, adottando una varietà di registri che non scadono mai nel sensazionalistico o nel pietistico anche quando toccano aspetti dolorosi e sofferti.

Le interpreti riconducono i monologhi della sceneggiatura al loro vissuto con estrema disciplina: particolarmente toccante quello di Yolanda sulla doppia chemioterapia a cui si è dovuta sottoporre, prima per un Sarcoma di Kaposi e successivamente per un tumore alla gola. Yolanda testimonia la sua vittoria, sovvertendo tutta la schiera di personaggi trans malati trattati dal cinema con un misto di compassione e disprezzo.

Attraverso questa struttura che concatena le diverse testimonianze delle donne, Silvestre fa emergere le diverse individualità dietro il “nome-ombrello” (per prendere in prestito la terminologia di Maya De Leo) di trans. In questo modo, scena dopo scena, iniziano a delinearsi non solo le differenze caratteriali, ma anche quelle ideologiche e politiche che influenzano le sei compagne di viaggio nelle diverse definizioni della loro transessualità. Chi cita la famosa frase di Simone De Beavoir secondo cui “donna non si nasce, lo si diventa”, chi rimane legata a definizioni più biologiche e scientifiche di genere e orientamento sessuale, chi decide di ritornare alla propria famiglia che l’ha comunque sempre sostenuta come donna trans, chi, infine, non si ritrova pienamente nel gruppo anche per un percorso di transizione ancora non completo di vaginoplastica.

Il film di Silvestre è certamente da ascoltare, ma il lato visuale di Sedimentos non va sottovalutato. I paesaggi naturali che le sei donne attraversano (cave, grotte, fiumi) rappresentano metaforicamente la profondità e la fluidità delle nostre identità. La scena finale della festa tradizionale del paese, che riaccoglie Magdalena e la sua decisione di ristabilirsi nei luoghi della sua infanzia, rappresenta certamente il climax della narrazione e del rovesciamento dei luoghi comuni sulla presunta incompatibilità tra tradizione e transessualità. Nella festa tradizionale le sei donne diventano davvero protagoniste, al pari che nelle inquadrature precedenti che ne sottolineano i monologhi o le testimonianze di vita, di una ritualità che non le marginalizza ma ne esalta i caratteri e l’anticonformismo, anche se questo significa, come nel caso di Cristina, non riconoscersi pienamente nel gruppo.