Con la solita schiettezza e passione, Martin Scorsese ha sempre tributato a Robert De Niro un apporto creativo superiore alla semplice (e pur indimenticabile) interpretazione di Toro scatenato. A seguire, altre testimonianze del regista.
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È stato Bob a voler fare quel film. Io no: non capivo niente di pugilato. Cioè, capivo soltanto che è una specie di partita a scacchi fisica. Ci vuole l'intelligenza di uno scacchista, ma la partita la giochi col corpo. Uno può essere completamente ignorante e rivelarsi un genio nell'arte del pugilato. Quando ero piccolo, guardavo al cinema gli incontri di pugilato, che erano ripresi sempre dalla stessa angolazione, e non riuscivo mai a distinguere i pugili. Mi sembrava noioso, e in più non ci capivo niente. Ma avevo un'idea, per quanto minima, delle motivazioni di un pugile, e capivo perché Bob volesse a tutti i costi interpretare il ruolo di Jake La Motta. Proveniva dallo stesso ambiente di operai italoamericani; da ragazzi lui e il fratello erano due ladruncoli e questa era la storia di due fratelli, e così via.
Dopo la realizzazione di New York, New York, nei due anni e mezzo che vanno dal 1976 al 1978, ebbi dei seri problemi. Il film non era stato un successo ed io ero depresso. Riuscii ad uscirne mentre mi trovavo in ospedale nel weekend del primo maggio del 1978: De Niro venne a trovarmi e mi disse: "Sai, possiamo fare questo film". Nel frattempo erano state scritte tre o quattro sceneggiature ed erano state tutte rifiutate. Non me ne piaceva nessuna e non vi prestavo molta attenzione, perché non mi sentivo a posto. Bob mi disse: "Ascolta, possiamo fare un ottimo lavoro su questo film. Vuoi farlo?" Mi trovai a dire di sì. A quel punto capii ciò che era stato Jake, solo dopo avere attraversato un'esperienza simile. Fui fortunato che ci fosse un progetto che mi offriva la possibilità di esprimere tutto ciò. La decisione di fare il film fu presa allora. Ero affascinato dal lato autodistruttivo del personaggio Jake LaMotta, dalle sue emozioni elementari. C'era forse qualcosa di più elementare di farsi una vita colpendo un'altra persona alla testa fino a che uno dei due non fosse caduto o non si fosse fermato?
L'autobiografia di LaMotta
Il libro non è una vera e propria autobiografia; fu scritto da Jake La Motta assieme a Peter Savage e a un tizio chiamato Joseph Carter. Non abbiamo mai incontrato Carter e, per un certo periodo, abbiamo anche pensato che costui non esistesse, però qualcuno i soldi li aveva presi! Ma Pete era un buon amico di Jake e i due fratelli di quest'ultimo, Joey e Pete, vennero riuniti, nel film, in un'unica figura. Peter Savage divenne anche coproduttore del film. Nel libro, essi avevano cercato di dare una scusa a qualunque cosa avesse fatto Jake, alle sue colpe, alle sue violenze. Non mi sembrava molto giusto. Comunque vi erano, nel libro, alcuni episodi molto interessanti e decidemmo di fare il film sulla base di quelli.
Nel libro, Jake si analizza continuamente. Spiega dottamente perché fa questa o quella cosa. Ma non credo che Jake sia in grado di analizzarsi in tal modo. Oppure non ci dà tutte le spiegazioni. E come potrebbe? Tutto ciò risale a molto tempo addietro. Si sente che Peter Savage ha dato forma al libro. È un personaggio sorprendente. Compare in Taxi Driver e New York, New York. Ha realizzato due film con Jake (4 House in Naples nel 1969, Cauliflower Cupids nel 1970). Ha conferito una struttura drammatica alla vita caotica di Jake. Non è tanto Jake a parlare di sé quanto Peter a spiegare Jake a Jake.
La sceneggiatura
Alla fine fummo d'accordo che se c'era uno capace di cavarne fuori qualcosa, quello era Paul Schrader. Anche Paul, naturalmente, aveva la sua carriera. Stava per iniziare a girare un film importante, che penso fosse American Gigolò, e veniva da buoni film come Hardcore e Tuta blu. E quando Taxi Driver aveva vinto la Palma d'oro a Cannes, se n'era parlato come di un film di De Niro e Scorsese, e pochi avevano ricordato il nome di Schrader. Sono cose che a volte danno molto fastidio. E quindi Paul non aveva obblighi particolari nei nostri confronti. Quello che scrisse, comunque, fu esattamente ciò di cui avevamo bisogno dal punto di vista della struttura.
Lui ebbe l'idea geniale di cominciare il racconto dalla metà, nel momento in cui Jake sta per vincere un incontro. Mette al tappeto 1'avversario, ma alla fine perde. Perché? Perché non vuole seguire le regole della mafia. Non per onore, semplicemente perché non vuole dividere i suoi soldi con loro. Quindi torna a casa e litiga con la moglie perché non gli piace come cucina le bistecche. Questo vuol dire che ci sarà una scenata, che la tavola apparecchiata finirà in pezzi e che suo fratello cercherà di fare da paciere... Ecco fatto, abbiamo un film. Schrader ci ha dato tutto questo, la progressione drammatica del film, il conflitto che monta. Andava dritto al sodo.
Ma non ero ancora convinto di fare il film. Ci fu un incontro con me, Irwin Winkler, Schrader e De Niro. E si misero a litigare, perché Paul non aveva più voglia di lavorarci sopra. [...] Non fu come Taxi Driver, che Schrader consegnò fatto e finito: era incredibile, non c'era da cambiare una virgola. Questa volta le cose erano diverse, anche perché ci stava facendo un favore. Così lo rivedemmo un'altra volta e ci disse: "Sentite, fate come volete. Scrivetevelo da soli. Se volete, vi posso suggerire di fare così e così". Per esempio di prendere due personaggi per farne uno solo. "Ma poi fate quello che volete." E sostanzialmente fu quello che facemmo. L'ordine degli eventi è molto diverso dalla sceneggiatura originale di Paul, anche se la struttura in pratica è la stessa. Quello che aiutò a fare fu uscire da un vicolo cieco.
Allora io e Bob decidemmo, con la benedizione di Paul Schrader, di portare la sua sceneggiatura con noi su un'isola, il che fu molto duro per me, perché, per quanto mi riguarda, esiste soltanto un'isola: Manhattan. Ma Bob riuscì a convincermi: mi svegliava al mattino, mi preparava il caffè; così passammo due settimane e mezzo a riscrivere ogni cosa. Riunimmo insieme alcuni personaggi e, in effetti, riscrivemmo l'intero film, compresi i dialoghi.
Fonti di ispirazione
Le forze del male fu una grande fonte di ispirazione, con il rapporto tra i due fratelli che sfocia nel tradimento di uno di questi, e con i suoi curiosi dialoghi in versi. Durante la preparazione di Toro Scatenato, feci vedere a Bob una copia in 16mm di Anima e corpo e poi gli mostrai Le forze del male, che egli trovò più interessante. Il racket delle scommesse, che è lo spunto della storia, esiste ancora e quello era un film che trattava questo argomento apertamente, mostrandoci un avvocato disonesto con il quale potevamo identificarci.
Il bacio della morte fu un film che mi affascinò molto per la sua originale mescolanza di cinema d'azione e cinema d'ispirazione neorealista e, ovviamente, per l'interpretazione isterica e sopra le righe di Richard Widmark. Ma il film era raccontato 'dalla parte della legge', con Victor Mature che diventava un informatore della polizia e, poiché lì dove sono cresciuto, la cosa peggiore che uno potesse fare era diventare un informatore, non-riuscii a identificarmi nel personaggio. I duri del quartiere assomigliavano veramente a Cagney in Nemico pubblico e La furia umana. Quest'ultimo film mi piaceva molto, anche se il personaggio interpretato da Edmund O'Brien non mi interessava molto.
Le citazioni di Martin Scorsese sono tratte da:
Ian Christie e David Thompson (a cura di), Scorsese secondo Scorsese, Ubulibri, 1991
Martin Scorsese. Conversazioni con Michael Henry Wilson, Rizzoli, 2006
Martin Scorsese (con Richard Schickel), Conversazioni su di me e tutto il resto, Bompiani, 2011