Siamo a quattro partite dalla finale del campionato di baseball. I Metz hanno avuto un’inaspettata rimonta sui Dodgers e, di partita in partita, il Cattivo Tenente, poliziotto corrotto e dedito a ogni tipo di droga, vede raddoppiare il suo debito con un pericoloso allibratore. Nel frattempo una suora viene stuprata da due balordi in una chiesa cattolica. Sulla testa dei colpevoli viene messa una taglia di 50.000 dollari che potrebbero aiutare il protagonista a saldare i suoi debiti di gioco.
Come un pirata cinefilo Abel Ferrara saccheggia dallo Scorsese di Mean Streets e da Michael Cimino, passando per il Copkiller di Roberto Faenza, in cui la bassezza morale del tenente Fred O’Connor (sempre interpretato da Harvey Keitel) sembra aver ispirato in parte quello del regista italo-americano.
Il Cattivo Tenente di Ferrara e Keitel è un povero (anti)cristo pasoliniano in cerca di redenzione, che il regista ci mostra in tutta la sua debolezza e in tutto il suo patetismo; nel suo nudo integrale, così sexy e al tempo stesso tragico, allarga le braccia e piange mimando l’atto della crocifissione. Il film rimanda continuamente all’iconografia del mondo cattolico, ma senza la speranza del Nuovo Testamento.
La prostituta spacciatrice e la suora stuprata sono rispettivamente la Maddalena e la Vergine Maria, il Tenente un Cristo nero crocifisso dalle sue stesse perversioni e gli stupratori sono i due ladroni a cui il protagonista finisce per indicare la strada per la salvezza. L’unica assenza ingombrante in questa New York fumosa e infernale è proprio quella di Dio, che il protagonista invoca supplichevole gemendo come una bestia.
È proprio l’assenza Dio uno dei leitmotiv della cosiddetta Trilogia del Peccato – proseguita con i meno riusciti Occhi di Serpente e The Addiction – in cui il dissacrante cineasta inserisce alte riflessioni sul Male come dipendenza (addiction, appunto) che, in quanto tale, non riusciamo a riconoscere né quindi estirpare.
Secondo i padri della chiesa il male non è altro che una mancanza, una privazione del bene; l’assenza di Dio, l’ustione che è rimasta sul mondo quando si è ritirato da esso, per lasciare all’uomo la libertà di scelta tra il Bene e il Male appunto. Ma se Dio, il Sommo Bene, si ritira dal mondo, è questa stessa una privazione del bene. Quale bene possiamo trovare allora se questo è fuori dal mondo? Significa forse che l’uomo è destinato a perpetuare il Male, come sostiene la protagonista del vampiresco The Addiction? In questo caso sarebbe illusoria la scelta tra bene e male che Dio ci concede e illusoria sarebbe anche l’eterna lotta tra il bene e il male. Il male ha già vinto?
Il Cattivo Tenente dice di odiare la chiesa e che i due stupratori meriterebbero un premio, la sua unica speranza per tutto il film è la vittoria dei Dodgers. La radiocronaca sportiva anticipa fuori campo la prima inquadratura del film e lo accompagna come un mantra nei suoi viaggi in macchina per New York, in casa, nei bar. Quando questa possibilità di salvezza terrena sfuma lasciando il Tenente più indebitato di prima assistiamo al tragico e teatrale punto di rottura. Ferrara mette in scena il sacro e il profano, il sublime e il patetico, mostrandoci il protagonista litigare furiosamente con un Gesù Cristo silenzioso sceso dalla croce, a cui grida contro tutta la sua disperazione e il suo risentimento. La violenza iconoclasta e, a tratti, quasi autocompiaciuta del regista raggiunge in questo film l’apice della spiritualità e, al tempo stesso, del realismo esasperato, in un sintesi altissima della sua altalenante filmografia.