C’è questa cosa che, alla domanda “come stai?”, Robert Mitchum rispondeva sempre con una sola parola: “peggio!”. Peggio? Quando Bruce Weber gli chiede il senso, l’anziano divo finge di rifletterci su e spiega che rispondeva così Groucho Marx e, siccome tutti ridevano, gli sembrava una battuta intelligente da replicare. Poi ricorda quando un suo amico, Lex Barker (Tarzan in sei film), dopo aver fatto un accurato check-up, incontrò un tipo che gli chiese come stesse. Rispose: “meglio!” e un attimo dopo era tramortito a terra. Morale: “peggio” come risposta per non essere colto di sorpresa dalla morte, beffa al destino, scaramanzia scanzonata.

Nell’anno in cui riscopriamo The Other Side of The Wind, ecco un’altra meditazione sulla morte e sul cinema. Alla pari dell’estremo Welles, anche qui c’è un collage di immagini e riflessioni, aneddoti e sentenze. Ovviamente qui non c’è alcun mascheramento, ma la rappresentazione nuda del divo colto nel suo controverso viale del tramonto. Siamo, infatti, alla metà degli anni Novanta e Weber convince Mitchum ad essere protagonista di un ritratto. Lo gira in bianco e nero, in 35 mm e 16 mm, come se fosse materiale da guerriglia, mette al centro l’attore, ne fa emergere lo statuto iconico. Poi Mitchum muore e Weber impiega due decenni per completare il suo omaggio. In apparenza ci sono le marche tipiche del documentario sul cinema: i pezzi di repertorio, le interviste ad amici e parenti, cenni biografici.

Con la particolarità che si tratta di un film su Mitchum, e non su Jimmy Stewart o Gregory Peck (“loro sì che mi avrebbero dato tutti i loro filmini di famiglia!”): “buona fortuna!”, augura a Weber Stuart Whitman, dirimpettaio del divo. Ovvero un film sull’immagine mancante: cosa nasconde questo consumato e carismatico sex symbol tanto impeccabile sul lavoro quanto incapace di scindere personaggio e persona? “Person-attore”, lo chiama qualcuno ad un certo punto. Cosa si cela dietro il consueto copione secondo cui tutti cadono ai suoi piedi, scoprendosi interpreti di una sceneggiatura visibile solo a Mitchum, nella quale a lui spettano frasi ad effetto e il racconto di episodi strabilianti?

Weber lo segue in sala di registrazione, dove incide malinconici ed irresistibili pezzi country, e cerca di scandagliare l’angoscia annacquata nei molti drink, le frustrazioni che riaffiorano all’improvviso dietro i grandi occhiali, i ricordi di una giovinezza inesorabilmente rimpianta. Confessa le lacrime inconcepibili alla fine di Seduzione mortale, lascia che gli altri oggi ne traccino il titanismo romantico, minimizza il suo effetto sulle donne (e sugli uomini). Gli basta dire “Deborah Kerr” per intuire ciò che non vuole dirci (“comunicavamo”). Non ha bisogno di spiegare il mistero di un matrimonio lungo quasi sessant’anni ma si danna l’anima sentendosi un impostore che ha procurato dolore al prossimo.

E il titolo? Nice Girls Don’t Stay for Breakfast, presentato in anteprima nel 2017 al Cinema Ritrovato, sembra una sua massima ironica, ma è solo una canzone di Julie London, sua partner ne Il meraviglioso paese: guardate la clamorosa scena in cui lui le fa ammettere che in realtà non ama il marito, praticamente il frammento di documentario su un seduttore naturale.