Dopo Marcia per la libertà, The Black Godfather e Safety – Sempre al tuo fianco, Reginald Hudlin continua la sua personale galleria di figure simboliche della società afroamericana del Novecento con Sidney, documentario prodotto da Oprah Winfrey e distribuito da Apple Tv+, dedicato alla prima black star hollywoodiana Sidney Poitier e al suo simbolico lascito culturale.

Avvalendosi della collaborazione di Poitier stesso, il film diventa una sorta di racconto in prima persona della sua vita e carriera, arricchito dalle testimonianze di familiari, amici e colleghi che ne ampliano il ritratto al più ampio contesto storico in cui opera la sua figura pubblica e privata. Ne esce così un’immagine larger than life che intreccia il personaggio ai grandi cambiamenti culturali di cui lui stesso si è fatto testimone e interprete.

Nato in una poverissima famiglia di agricoltori delle Bahamas e trasferito in America ancora bambino, Poitier vive sulla propria pelle una diversità etnica finora ignorata, imparando presto cosa significhi essere nero negli Stati Uniti ancora segregati. Esperienze dure, che formano la sua persona e che una volta divenuto attore, quasi per caso, convoglia nella ferrea coscienza del ruolo assunto di film in film nel panorama contemporaneo.

Dice bene Spike Lee, paragonando la star al primo campione afroamericano di baseball Jackie Robinson, a definire Poitier il primo “a rappresentare un’intera etnia”, a fare da scudo per essa. Certo di neri a Hollywood ce n’erano già stati, ma Hattie McDaniel, Stepin Fetchit e Mantan Moreland erano delle caricature, una stereotipata rappresentazione di sé stessi. Sciocchi, servili, ignoranti e pigri, i neri americani sul grande schermo non erano che grottesche maschere delle peggiori inclinazioni umane.

L’ingresso di Poitier nel mondo dell’intrattenimento viene a costituire così un vero spartiacque nella storia del cinema nazionale e delle immagini a esso collegate. “[Sidney] è stato il primo a dimostrare che le persone nere erano esseri umani. Ogni volta che si riesce a mostrare che i neri sono normali esseri umani a un mondo restio a pensarlo, si contribuisce alla causa, perché si tratta proprio di far capire alla gente che noi siamo umani”. L’accorata affermazione di Oprah Winfrey sintetizza efficacemente il contributo di Poitier alla questione nera, che in quegli anni di instancabili lotte civili stava guidando il Paese a una rapida maturità e responsabilizzazione verso una problematica che non poteva essere più ignorata.

È alla luce di questo che la carriera del protagonista di Uomo bianco, tu vivrai!, La parete di fango, I gigli del campo, La scuola della violenza, La calda notte dell’Ispettore Tibbs e Indovina chi viene a cena? assume una valenza unica. I suoi personaggi onesti, coscienziosi, eleganti e compassati sono le immagini migliori con cui gli afroamericani cercano di affermarsi in un nuovo contesto sociale, politico e culturale che fino ad allora se non li aveva derisi, sfruttati ed emarginati li aveva completamente ignorati.

Ma questi stessi tratti sono oggetto di aspre critiche rivolte all’attore dalle frange più radicali nere, che ne mettono in luce l’eccessiva accondiscendenza verso il sistema di valori bianco. Accuse pesanti che feriscono profondamente l’attore, che dai primi anni Settanta si dedica quasi esclusivamente alla produzione e direzione dei propri film, cercando di rinnovare la sua immagine pur nel rispetto dei propri princìpi e ideali, sempre fedele alla propria visione del mondo e del ruolo che ognuno vi assume nel suo piccolo. Un esempio per molti ancora oggi di talento e impegno civile, che resta e resterà nella memoria collettiva coi suoi limiti umani e l’aura mitica che è dei grandi.