La primissima immagine è la bandiera nazista che scende lentamente sull'asta, ammainata. Poi un'aula di tribunale e il giudice che annuncia l'argomento del processo: le atrocità perpetrate in tempo di guerra dalla Germania di Hitler, tali da meritare il nome di crimini e da rendere pertinente lo svolgersi di una simile seduta. L'imputato è il gerarca Wilhelm Grimm, fra gli uditori ci sono Polacchi, Americani, almeno un Giapponese. Un film sul processo di Norimberga quindi..guess again diremmo in inglese, ritenta. O meglio, precisissimo da un punto di vista sostanziale: non fosse per il dettaglio anagrafico che il film data 1944, a ostilità tutt'altro che concluse.
Non serve altro per rendere None Shall Escape un'opera di grande interesse. Ma c'è altro. Cosa ci aspetteremmo, nel 2018, sentendo di un film made in USA che presagisce un evento spartiacque come i processi in cui Bormann, Goering, Hesse e tanti altri meno noti si presentarono all'appuntamento con la Storia? Un grande apologo morale forse, o l'equivalente filmico di inni giustizialisti come la Smoke on the Water di Red Foley, incisa proprio nel '44: “ non resteranno che avvoltoi ad abitare quella terra, quando le nuove navi e i bombardieri ridurranno il Giappone a un cimitero/ non ci sarà tempo per la pietà quando l'aquila urlante si alzerà in volo, sarà la fine per l'Asse, devono pagare con la vita”. O magari una visione orwelliana rovesciata in utopia, in cui come nei film di Petri l'invenzione fa meglio di qualsiasi documentario.
Invece no. Può darsi che questi scenari avrebbero prodotto un film migliore, ma molto difficilmente il senso di straniamento che pervade davanti alla seconda produzione americana di De Toth. Dire che "presagisce" gli eventi di Norimberga è poco: mostratelo a chiunque non sappia quello che avete letto e penserà a un resoconto appena romanzato dell'immediato dopoguerra, o anche degli anni '50, ma coincidente a tal punto con la narrazione che di quegli anni si è imposta e vige tuttora da far anche esclamare "com'è avanti!": indottrinamento, responsabilità e deresponsabilizzazione (La banalità del male uscirà solo nel 1963), l'origine dell'incubo nazista nella depressione della Germania messa in ginocchio dalla Grande Guerra..
Una coscienza che presumiamo costruita a fatica nel corso di decenni di riassestamento ed elaborazione, già viva e adulta in un film prodotto nel paese destinato in avvenire all'egemonia culturale (e che aveva in preventivo i processi almeno dal '42): più che clamoroso, sospetto. Il regista ungherese, esule negli Stati Uniti e tra l'altro presente cinepresa alla mano all'invasione della Polonia nel '39, sposa chiaramente la causa politica e produttiva del suo paese di adozione. Basta però una scorsa alla storia dei suoi rapporti con Columbia Pictures per far nascere il dubbio che ci sia (anche) di più.
La nave che aveva portato De Toth in America fu silurata dai Tedeschi durante la traversata di ritorno, come a suggello di quel che aveva scampato. Ma neanche dopo filò tutto liscio: dovette affrontare la diffidenza riservata da Hollywood ai rifugiati di guerra non ebrei, ebbe - lui che con questo film fu tra i primissimi a denunciare gli orrori subiti dal popolo ebraico durante il Nazismo - screzi con la produzione sulla presenza di un personaggio di colore; per tutto il resto di una lunga carriera avrebbe preferito l'indipendenza della serie B alla collaborazione con le majors. Questo suo essere stato "fra due fuochi", se al succo non condiziona il film sul piano ideologico, lo arricchisce di un doppiofondo inquietante.
Quasi per eccesso di coerenza De Toth osa tendere un filo invisibile fra il proprio ruolo didattico e la figura del nazista Wilhelm Grimm (cognome che sa immediatamente di racconto inventato), maestro elementare ferito nel corpo e nell'orgoglio dalla prima guerra mondiale e trasformatosi in catechista di un'ideologia menzognera. Zoppo e intellettuale come Goebbels, ma in Polonia nel primo dopoguerra demonizzato in quanto tedesco come Süss l'ebreo. Un mondo distrutto alle spalle, uno da distruggere davanti a sé. Al riparo dietro la cattiveria inappellabile del suo personaggio, il regista racconta ogni sua malefatta come insieme superata e all'orizzonte. Quando Grimm urla la sua fede cieca nel ritorno del Nazismo, è difficile prenderlo come lo sfogo di un pazzo. La condanna del Nazismo in None Shall Escape è indubitabile. Ma non la fiducia nel futuro. Guardate il titolo.