Nope, l’ultima magnificente fatica di Jordan Peele, è certamente uno dei migliori film dell’anno, nonché un perfetto punto di partenza per chi non ha ancora avuto il piacere di entrare in contatto con la filmografia dell’autore statunitense. Di converso, gli apprezzatori dei precedenti lavori di Peele ritroveranno il suo stile riconoscibilissimo, tanto nelle idee registiche che nel registro della scrittura, ma un ritmo finora inedito.
Rispetto all’incalzante incedere di Scappa e all’altalenante martellamento di Noi, Nope risulta meno denso e più disteso. Il passo rallenta in particolare nell’ultimo atto, quando viene dipanato il mistero, e la scrittura si concentra sul tema portante dell’ossessione per la fotogenia, dell’irrazionale spettacolarizzazione della realtà. Questa parte si lascia un po’ troppo soffrire, specie per il brusco scarto rispetto alla precedente, e qui Nope si avvicina più a Monsters (Gareth Edwards, 2010) che a sé stesso. La scrittura è nondimeno eccellente e mantiene sempre alta l’asticella della tensione senza rinunciare a pennellate di pregevole ironia. Riguardo alla scrittura dei personaggi, merita un plauso particolare Daniel Kaluuya, che interpreta alla perfezione un ruolo molto più difficile di quanto possa apparire d’acchito.
Un protagonista timido e schivo, vittima impotente di un “miracolo cattivo”, viene qui tratteggiato dall’attore, lungo tutto il suo arco di trasformazione, con pacata esattezza e minimi gesti ben calcolati. A ciò si aggiunge poi la naturale fisionomia facciale di Kaluuya, in particolare i suoi occhi molto grandi ed espressivi, adattissimi per motivi diegetici. La vera preziosità di Nope risiede però nella sua sorprendente gestione degli spazi fisici e sonori.
In genere, opere dall’atmosfera così opprimente e straniante beneficiano di luoghi chiusi, spazi naturalmente claustrofobici da restringere ulteriormente con l’ausilio del giusto taglio dell’inquadratura – Madre di Aronofsky ne è un esempio cristallino. Peele decide invece di ambientare la sua storia in un ranch sterminato, dinnanzi a cui la figura umana risulta sminuita, in concerto con la minacciosità di una nemesi in agguato nell’immenso cielo stellato, l’implacabile maestosità di un “Dio malvagio”.
La dimensione sonora è poi talmente espressiva e ben congeniata da valere da sola il prezzo del biglietto in sala. La musica è sempre azzeccata e sorprendente, mentre i rumori giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’inquietudine che permea il film. Infine, l’attenzione rivolta alla profondità sonora garantisce l’immersività che contraddistingue Nope dai film che l’hanno preceduto, con ogni probabilità anche da quelli che seguiranno.