Niente di meglio di un buon caffè dopo un pasto abbondante. Anzi, spesso quel caffè è più piacevole del pasto stesso. Qualcosa di simile è capitato al cinema Lumière. Un piccolo appuntamento che era facile non notare, un ago nel pagliaio in mezzo a film di Bergman o Leone. Una proiezione di tre film: Varieties of Sweet Peas, A Day at Henley e un terzo senza neppure un nome, detto Donna con garofani rossi e rosa. Probabilmente questi titoli non suoneranno familiari a nessuno, ma, dopotutto, se si trovano nel programma del Cinema Ritrovato un motivo c’è. I primi due sono film inglesi del 1911 mentre il terzo è un piccolo (appena 9 secondi di durata) omaggio del neonato cinema italiano, datato 1912.
Ad accomunare queste tre brevi opere è il sistema di colorazione utilizzato, il kinemacolor. Come i più pratici di cinema delle origini sapranno, i film non sono mai stati muti né tantomeno privi di colore. Capita di dimenticarlo anche a chi ne è perfettamente consapevole, poiché la fruizione del film è radicalmente mutata nel corso di più di un secolo e assistere ad una proiezione filologicamente “corretta” di queste opere è raro. In certi casi è assolutamente necessario, o si rischia di vedere questi film come fossero reliquie da museo, dimenticando, quindi, che al loro tempo hanno saputo incuriosire ed emozionare il pubblico. È proprio per ricordarcelo, per colmare l’oblio del tempo, che agisce la filologia, il restauro e, più in generale, la cinefilia. All’attrazione dello schermo si è aggiunto al Lumière, come allora, l’accompagnamento musicale dal vivo (piano e batteria) oltre alla grande sorpresa, il kinemacolor, appunto.
Nel cinema arte e tecnologia, ricerca nel linguaggio e nella tecnica vanno di pari passo, sostenendosi l’un l’altro come in nessun altro ambito. Ben prima della rivoluzione del technicolor, i cineasti sentivano il bisogno di donare il colore alle proprie opere, per restituire al pubblico il realismo dell’immagine in movimento. I primi, quasi casalinghi tentativi, vedevano gli addetti armati solo di pennello (spesso donne, considerate più precise) dipingere ogni singolo fotogramma di ogni singola copia di ciascun film. Questo metodo fu ben presto abbandonato per ovvi motivi, e si passò alla tintura della pellicola attraverso i processi chimici della tintura e del viraggio, più pratici ma costosi.
Il kinemacolor nasce nel Regno Unito e restituiva attraverso un procedimento meccanico una più vasta gamma di colori rispetto ai processi chimici. Nella sua pur breve vita (visti i costi delle cineprese necessarie e dell’adattamento delle sale) questo sistema generò un concreto interesse poiché riusciva, nella sua semplicità (si tratta “solamente” di filmare e proiettare attraverso due filtri alternativamente, uno rosso e uno verde) riusciva a restituire un incredibile, inedito, senso di realtà che a più di un secolo continua a sorprendere. Una piccola proiezione quindi, ma dal sapore caldo e intenso, come un buon caffè, appunto.