L'inizio è un distaccato ritratto di Roma dall'alto, in uno stile a cui non siamo abituati, quello di una glaciale e impassibile grande città, uguale a qualsiasi altra capitale europea. Poi a turno si affacciano i tre protagonisti, un'enigmatica donna motorizzata e i due poliziotti che ne inseguono le tracce, le cui rispettive vicende si intersecano solo tangenzialmente e marginalmente. Per il suo esordio alla regia di un lungometraggio, Michela Cescon porta sul grande schermo Occhi blu.

Attrice indubbiamente ottima in ruoli molto difficili (Primo amore di Matteo Garrone, con cui è salita alla ribalta), meno a fuoco in altri più normalizzati (La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi), per la sua opera prima ha dichiarato di essersi ispirata ai noir francesi di Jean-Pierre Melville e alle graphic novel. Forse preda della sindrome del regista novizio coscienzioso, incline a voler dimostrare non solo di saper dirigere, ma anche di avere studiato a fondo la storia del cinema, di fatto affastella con perizia plurimi riferimenti, che si spingono addirittura sin dalle parti di Deserto rosso di Michelangelo Antonioni.

La parte del leone tocca però a una sorta di rivisitazione del cinéma du look francese anni Ottanta, sia nella scelta programmatica di far prevalere la ricercatezza visiva sull'aspetto narrativo, sia nell'utilizzo di stilemi come la musica avvolgente e le luci notturne colorate in modalità antinaturalistica, arrivate direttamente da Subway di Luc Besson. Ne risulta un polar anomalo, più estetizzante e compiaciuto di esserlo che realmente cupo nell'essenza, con pochissimi dialoghi e molte immagini, sovente belle a tratti egregie (intrigante la prospettiva dell'all you can eat come luogo da lupi solitari, ottima la resa registica di una caduta nell'acqua).

E proprio dai film di Luc Besson e Jean-Jacques Beineix di più di trent'anni fa Cescon riprende uno dei tre protagonisti di Occhi blu, Jean-Hughes Anglade, calato nel ruolo del poliziotto d'oltralpe in trasferta per aiutare un collega nostrano (Ivano De Matteo) con una certa grazia, ma un'evidente difficoltà a recitare in italiano. Aiuta comunque il lavoro degli attori il fatto che i personaggi debbano restare indecifrabili per definizione. E se la misteriosa figura femminile al centro di tutto si fa seguire nelle sue vicende è soprattutto per l'intrinseco appeal magnetico e sofferto di Valeria Golino, non tanto per la scrittura del personaggio, a cui è stato donato giusto qualche tocco fetish e un rapporto da officina molto master and servant.