A dieci anni di distanza dal deludente Dracula, Dario Argento ritorna al cinema con Occhiali neri, un thriller perfettamente coerente col percorso artistico dell’autore romano. Come nel caso del recente Il signor Diavolo, in cui Pupi Avati ripropone un’idea personale quanto demodé di cinema orrorifico votato al gotico rurale, così Argento torna a mettere in scena la sua macabra e irrazionale declinazione del poliziesco.

Questo Occhiali neri farà storcere qualche naso, perlopiù in quanto espressione di un cinema di genere relegato al passato o a gruppi di appassionati, ma era dai tempi di Nonhosonno che Argento non dimostrava tanta sicurezza. Chi cerca un clue puzzle rigoroso, o complessi intrecci basati sulla psicologia deviante, farà meglio a cercare altrove. Già dall’esordio con L’uccello dalle piume di cristallo, oltre mezzo secolo orsono, i personaggi di Argento subiscono il processo creativo più che avvantaggiarsene, complici sceneggiature non prive di sbavature e un generale scarso interesse nella direzione degli attori.

Ciò che ha sempre contraddistinto l’arte del maestro romano è l’opposto: una scrittura completamente asservita al rafforzamento della componente visiva dell’opera. Il suo è un cinema dell’occhio, dove l’impressione di un istante fa la differenza fra la vita e la morte, che si tratti di una mosca o del riflesso di un volto. Questo ultimo lavoro non è da meno, fin dalla prima sequenza, in cui un’eclisse solare adombra un pomeriggio estivo, suscitando il morboso interesse voyeuristico dei cittadini, ma anche offendendo gli occhi di chi non è attrezzato a fissare direttamente il sole. Vedere vuol dire conoscere e controllare, tanto per i personaggi quanto per gli spettatori.

Questi ultimi rimangono attaccati dal punto di vista morboso di una macchina da presa beffarda, subdolamente al servizio del sangue copioso, della lacerazione delle carni, davanti al cui strapotere ogni tentativo di indagine razionale viene vanificato. Ritorna anche la rappresentazione di una Roma svuotata, nelle cui strade deserte rimbombano i latrati notturni dei cani, una metropoli fantasma in cui è facile essere avvistati dall’assassino, almeno quanto lo è rifugiarsi nelle tenebre per quest’ultimo.

Complice anche l’invadente colonna sonora dal gusto rétro, Occhiali neri ha il sapore di un tuffo nel passato, nei meandri più tetri di un cinema che ai suoi tempi alzò l’asticella del rappresentabile, e che potrebbe forse continuare a fare in futuro.