L’anteprima italiana dell’ultimo film di Albert Serra Pacifiction, nella cornice del Torino Film Festival 2022, ha coinciso con la pubblicazione della top ten annuale della prestigiosa rivista Cahiers du Cinéma che lo vede al primo posto. Ciò ha contribuito ad accrescere la grande attesa per questo film tra i cinefili, al di là della conoscenza del lavoro del regista, con la prospettiva di poterlo presumibilmente vedere in sala grazie all’acquisizione da parte di Movies Inspired.

In Italia il lavoro di Albert Serra non ha mai avuto distribuzione di sala, nonostante i suoi film siano stati selezionati e riconosciuti nei festival internazionali di Cannes e Locarno, e risulta difficile immaginare il suo stile irriverente, laconico e colorato allo stesso tempo, denso ma divertente, approdare di fronte ai pubblici italiani.

Albert Serra si è infatti distinto per uno stile particolare e molto riconoscibile, in cui a una ricerca tecnica ed estetica molto raffinata si unisce la rappresentazione di storie mortifere che si dipanano lentamente, concedendo tutto il tempo allo spettatore per immergersi in un ritmo pacato, fluido e riflessivo. Il tema del potere e dell’immagine degli uomini che lo detengono è ricorrente nella sua filmografia. E torna anche in Pacifiction, che abbandona l’ambientazione storica che aveva contraddistinto tutti i suoi film precedenti per portarci nella Tahiti degli anni ‘90 a seguire le attività del fittizio alto commissario dell’isola De Roller.

Questi è un personaggio affabulatore reso magnetico dalla mirabile interpretazione di Benoît Magimel, sempre vestito con un originale completo bianco e in grado di rabbonire chiunque gli si presenti con un misto di charme e di schiettezza. Si muove tra i luoghi più diversi, immersi nel panorama esotico dell’isola, dialogando con i personaggi che popolano il suo panorama politico: rappresentanti delle comunità locali, capi di marina, gangster, operatori del settore turistico.

In maniera sottile e mai didascalica Serra introduce attraverso queste continue conversazioni numerosi temi, a partire da quello del colonialismo e della convivenza con l’alterità in tutte le sue forme, attraverso i continui accostamenti di corpi differenti, costumi, divise. Subentra proprio grazie al costume un altro tema di grande interesse, cioè quello della contrapposizione tra la pacatezza della politica alla violenza degli usi tribali, mostrati in una rappresentazione folkloristica che viene riproposta in diversi momenti del film, in cui degli abitanti autoctoni si agghindano con piume e conchiglie e simulano delle lotte primitive.

De Roller assiste ad alcuni momenti di questo spettacolo, dalla vestizione dei teatranti, durante la quale gli viene proposto di provare indosso questi ornamenti, alla rappresentazione di cui loda la ferocia, qualità assente nel mondo della diplomazia che viene presentata nel film come una sovrastruttura potente e oggetto di attacchi da agenti esterni, ma sostanzialmente vuota e inutile. Tant’è che film costruisce una tensione prolungata, tanto da poterlo definire un thriller, in cui però non succede niente. Anche il titolo è suggestivo nel suo unire un riferimento geografico al Pacifico al termine fiction.

E sopra a tutti questi temi aleggia infine lo spettro del nucleare, della minaccia atomica che pare potrebbe abbattersi sull’isola e di cui sentiamo solo voci, complotti, allusioni. Una minaccia fantasma che però risveglia in tutti noi delle immagini ben precise, un intervento dall’alto la cui mano che opera ci resta ignota ma i cui effetti sono in grado di devastare il mondo per come lo conosciamo.

Pacifiction è un’opera che riesce a rimanere aperta alla visione e all’interpretazione da parte del pubblico (concedendo anche qualche semplificazione), ma senza rinunciare al suo statuto di cinema d’autore e a una struttura complessa assimilabile a quella di un muscolo, che si contrae e si rilassa costantemente sotto sforzo.