Negli anni Cinquanta l’industria hollywoodiana esonda dalla propria zona di comfort e si espande con decisione verso i territori del fantastico. Pandora figura tra i titoli che, agli albori del decennio, impostano la rotta verso generi segnati da mondi immaginari e figure ammantate di mistero, affermandosi però come un esperimento ancora parte di un sistema in trasformazione, più che un manifesto del nuovo corso della cinematografia d’oltreoceano. Diretto e prodotto da Albert Lewin, il film è una rivisitazione in chiave contemporanea della leggenda nordeuropea dell’Olandese Volante, la quale viene spogliata dai suoi connotati più strettamente gotici per essere diluita in un melodramma canonico, in cui la protagonista interpretata da Ava Gardner (la Pandora del titolo) viene travolta da una burrasca di impulsi amorosi.

Un incipit in cui un gruppo di pescatori rinviene due cadaveri nelle acque a largo di Esperanza, in Spagna, presagire un’opera dai toni ben più tesi, ma ben presto ci si assesta sul registro decisamente accomodante che pervade l’intero arco narrativo. Quando il ricercatore d’opere antiche Geoffrey Fielding rinviene sulla spiaggia il diario appartenuto al leggendario capitano del Vascello Fantasma, l’incedere degli eventi subisce un pesante arresto. Viene qui innestata la corposa analessi che costituisce il cuore della storia e che permetterà di riconoscere gli intriganti avvenimenti dei primi minuti come l’epilogo di una tormentata relazione sentimentale. Pandora sta per sposare l’amato Stephen Cameron (Nigel Patrick) che, come riportato in apertura, ama la donna almeno quanto l’automobile con la quale spera di battere il record lanciato di velocità. Un accostamento materialista che guasta alla base un amore descritto più in termini di ossessione e possesso, che non di puro sentimento. A riprova di ciò giunge il momento in cui Pandora pone Stephen di fronte ad una scelta tra le sue grandi passioni, alla quale l’uomo risponde gettando il suo prezioso mezzo giù per una irta scogliera, salvo poi recuperarlo per perseguire il suo intento. I già precari equilibri vengono ulteriormente scossi con l’entrata in scena di due nuove figure maschili: il virile ed espansivo Juan Montalvo (Mario Cabré) e il mite e sfuggente Hendrik Va Der Zee (James Mason).

È proprio quest’ultimo, nella sua volontà esplicita di non voler cedere all’attrazione per Pandora, a conquistarne definitivamente anima e cuore. L’uomo cela però un segreto, narrato allo spettatore tramite un’ulteriore digressione temporale che lo rivela proprio come il fantomatico marinaio condannato a vagare in cerca di una donna disposta a morire per lui. A questo punto la trama procede verso una risoluzione in cui il fantastico torna ad insinuarsi tramite un senso di predestinazione che unisce i destini dei due personaggi, chiamati nel presente a rivivere l’antesignana tragedia che condannò Van Der Zee all’immortalità. E se da un lato la scelta di presentare una figura della mitologia nordica dal torbido fascino nelle sembianze borghesi di un benestante di metà Novecento – l’iconico vascello fantasma ridotto ad uno yacht di lusso – priva il film di una dose di fascino arcaico, dall’altro Pandora risplende per un’accuratezza di messa in scena che a settant’anni dalla sua realizzazione mantiene intatta la sua stupefacente fattura.

A ciò concorre anche il prezioso restauro del 2019 a cura della George Eastman House e terminato da Cohen Film Collection, grazie al quale la fotografia in Technicolor di Jack Cardiff si riconsegna agli occhi degli spettatori in tutto il suo splendore cromatico. Tinte calde e luminose si contrappongono ad ombre lunghe e sfumate in un rispecchiamento degli stati emotivi dei personaggi che caricano uno scheletro altrimenti convenzionale di un sublime ed inattaccabile valore simbolico. Pandora rimane quindi certamente un prodotto dallo straordinario impatto visiva, i cui pregi non si esauriscono però nei fasti estetici racchiusi dal formato in  4:3, ma da essi partono per rinvenire una profondità concettuale che trova proprio nella bellezza il suo principale veicolo.