Peggy va alla guerra, e Henry King accende i microfoni. Non per la prima volta, dato che il Re Mida di Stella Dallas (1925) aveva già esordito nel sonoro un anno prima con La donna contesa (1928), confermandosi artigiano duttile alle nuove esigenze di mercato e a un linguaggio in costante evoluzione. Come molti talkie seminali, tuttavia, Peggy va alla guerra è una creatura bifronte, la cui lettura non può prescindere dalla comprensione di una storia produttiva travagliata, ulteriormente complicata dalla tradizione rocambolesca del suo supporto.

Il film fu girato, come di consueto in quegli anni di transizione, in doppia versione: una muta, con didascalie, e una sonora, con canzoni ed effetti acustici sincronizzati. Il minutaggio arrivava ai cento minuti, durante i quali la macchina di presa di King seguiva le tribolazioni sentimentali di una giovane innamorata di un codardo, modesta ma coraggiosa abbastanza da finire al fronte al suo posto. Ma gli orrori della Prima Guerra Mondiale che il film squaderna impietoso – marce forzate, trincee fangose, carri armati in fiamme – erano destinati ritornare negli incubi americani. Nel 1939, dieci anni dopo la prima distribuzione, il film fu rimaneggiato e riciclato al servizio della propaganda antimilitarista e anti interventista. Quella che vediamo oggi è proprio questa versione apocrifa, che patisce l’espunzione delle didascalie e di molte sequenze necessarie alla comprensione del racconto. Unica aggiunta, un’introduzione mirata a dissuadere gli spettatori statunitensi da un’ulteriore coinvolgimento nei sanguinosi affari europei.

Ciò che rimane di quest’opera singolare, dopo tanti stravolgimenti, è un assemblaggio frammentario di primi piani commossi, roboanti sequenze belliche e persino qualche gag tra le trincee. Più che un sonoro compiuto, un film muto con suoni – numeri musicali, tanti rumori e qualche riga di dialogo che risuona flebile –, in cui si percepisce forte l’ebbrezza di poter solleticare l’udito degli spettatori, sperimentando in tante direzioni diverse. Tra questi tentativi, il più commovente è senza dubbio la canzone nostalgica intonata per un soldato morente dalla diva del muto Alma Rubens, destinata a spegnersi solo due anni più tardi dopo una parabola tragica degna delle sue eroine travagliate. Ma il fascino magnetico di Peggy va alla guerra è ancora, e prima di tutto, per gli occhi, che si riempiono delle esalazioni fumose e delle fiamme della scena madre, in cui un carrarmato americano solca le linee nemiche. Quasi un assaggio del colossale Incendio di Chicago, che King fotograferà nel 1937.