Un documentario sui documentari: è questo il monumentale obiettivo che Peter Marcias, regista sardo, si è posto con il suo ultimo progetto, Uno sguardo alla terra. Il film nasce dalla volontà di recuperare uno dei più importanti lavori del cinema del reale, ovvero L’ultimo pugno di terra di Fiorenzo Serra (1965). Il documentario, che vide la supervisione di Cesare Zavattini, nacque su commissione della Regione Sardegna che voleva vedere celebrati i progressi del progetto di Rinascita, che invece Serra presentò in chiave dubbiosa e poco ottimista. Non godendo dell’approvazione dei suoi stessi committenti, L’ultimo pugno di terra fu smontato per realizzare dei documentari più brevi che invece circolarono in sala.

Il restauro, realizzato dalla Società Umanitaria – Cineteca Sarda (dove è conservato il fondo dedicato al regista) presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna nel 2008, ha riportato alla luce l’edizione “madre” del film, quella pensata e realizzata da Serra. Peter Marcias ha scelto L’ultimo pugno di terra come punto di partenza della sua riflessione, concentrandosi non tanto sul contenuto, ma sul senso che esso veicola: questa necessità costante di un cinema che catturi il reale. Ha mostrato la versione restaurata del 2008 a molti protagonisti della scena documentaria di oggi, come Wang Bing, Brillante Mendoza, José Luis Guerín e Claire Simon, per iniziare un dialogo, partendo dal film per riflettere sul cinema del reale nella sua interezza.

“È stato facile entrare in contatto, tutti si sono subito mostrati disponibili perché si parlava di cinema”, ci spiega Peter Marcias. Uno dei punti di forza del progetto è il fatto di non avere una lingua come l’inglese come regola. Ogni documentarista si esprime nella sua lingua di origine, così si sentono testimonianze in italiano, tagalog, spagnolo, francese, ebraico et cetera. Quello che emerge è un film torre di Babele, una grande sinfonia di voci che parlano idiomi diversi ma capaci di capirsi attraverso le immagini.

Non solo riflessione sul cinema documentario, ma anche sullo stato di salute della Terra, argomento che questi registi affrontano costantemente: Uno sguardo alla terra fornisce a Peter Marcias l’occasione per raccontare la Sardegna e per capirla meglio attraverso gli occhi degli altri partecipanti al progetto. La sua patria è stata di importanza fondamentale anche nella sua formazione come autore: è difatti cresciuto con la Cineteca Sarda, che come ricorda “ha fatto tantissimo per i giovani” per farli appassionare alla settima arte. Il fatto che la sua terra torni di continuo nei suoi lavori è quasi il frutto di una coincidenza: ha avuto la fortuna di incontrare storie degne di essere raccontate usando la sua regione come punto di partenza.

Il documentario aveva quello come obiettivo all’inizio: il progetto era difatti nato con l’intenzione di raccontare Fiorenzo Serra e la lettera d’amore alla Sardegna che è L’ultimo pugno di terra, ma si è presto reso conto che il modo più efficace per farlo era attraverso le immagini da lui realizzate. Mostrando il film ha notato che tutti concentravano le loro riflessioni su aspetti differenti dell’opera e da ciò è nato il confronto che vediamo sullo schermo.

Per quanto riguardo lo stato di salute del documentario ai giorni nostri, Peter Marcias si è dimostrato ottimista. “In Italia c’è un grandissimo fermento, basti vedere i cento documentari selezionati dal SNGCI – Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani per i Nastri d’Argento – Documentari [Uno sguardo alla terra è in concorso nella sezione “Cinema del reale”, n.d.r.] di quest’anno”, spiega il regista. Il documentario è una strada sotto certi aspetti più semplice, soprattutto perché meno costosa. Ci sono tante possibilità – anche perché molte rassegne ora concedono spazio a questo genere, prima spesso ignorato - ma soprattutto tanta voglia di portare avanti quell’idea di cinema del reale, che ha contraddistinto l’opera di Fiorenzo Serra.