Inghilterra, 1819. Un pacifico raduno a favore della democrazia si trasforma in uno degli episodi più sanguinosi ed efferati della storia del paese: presso St Peter’s Field a Manchester, una folla di oltre 60.000 persone, riunitasi per chiedere più diritti per i lavoratori e le donne viene attaccata dalle forze governative britanniche, in cui molti manifestanti, anche anziani e bambini, vennero uccisi, dando inizio a una serie di proteste in tutta la nazione, ma anche a nuove forme di repressione da parte del governo.
“Questo è un film sulla nascita della democrazia moderna europea e parla direttamente alle persone del XXI secolo. Ha attinenza con il quotidiano perché ogni giorno ci troviamo davanti al potere che viene tolto al popolo. Rifugiati e migranti si spostano e perdono il tetto del loro mondo a causa di politiche repressive, nell’impossibilità di esercitare i propri diritti.”
Così il regista esordisce in conferenza stampa; e, infatti, con Peterloo, Mike Leigh guarda all’Inghilterra dei servi e padroni, del divario sempre più crescente ed impietoso tra le classi sociali, del lavoro che annienta e aliena – entro una ventina d’anni Engels avrebbe scritto uno dei saggi fondanti sulla condizione della classe operaia durante l’epoca vittoriana – e degli albori della lotta e dell’impegno contro il potere, l’avidità e il cinismo dilaganti; quello di Leigh è un film determinante e necessario, non solo per ricordare uno degli episodi più tristemente noti della storia britannica, ma anche per fornire una chiave di lettura rispetto a un presente che non è poi così tanto dissimile.
E l’attività di un regista come Ken Loach, per esempio, ne è la dimostrazione. Al cineasta inglese preme raccontare il disagio e la frustrazione di chi viene inesorabilmente lasciato al margine di una società sempre più individualistica, specialmente per quanto riguarda la classe operaia, per cui determinati diritti ritenuti inalienabili vengono, d’altra parte, quotidianamente calpestati, riuscendo, con una scrittura scarna e asciutta ma oltremodo intensa in ciò che si vuole trasmettere, a smuovere le coscienze e a suscitare indignazione, tuttora. Ebbene, Leigh e Loach, per quanto distanti a livello di messa in scena, possono essere considerate come due facce della stessa medaglia, per un bisogno, umano e inestinguibile, di rendere giustizia alle persone comuni, la cui voce ed entusiasmo vengono quasi sempre smorzati dai poteri autoritari e repressivi.
Leigh realizza un ritratto rigoroso, quanto più oggettivo possibile e limpido di un determinato spaccato sociale, quello di un paese ai prodromi di cambiamenti e rivolte e di un’umanità alle dipendenze di un potere sazio e consunto; tra la monumentalità e lo splendore formale che contraddistingue anche Turner e una sceneggiatura tesa ad approfondire ogni singolo aspetto della vita di quel secolo e tutti i momenti preparatori alla manifestazione, riunioni e innumerevoli assemblee sia di uomini che donne, emerge anche un altro aspetto: la celebrazione della forza della conoscenza (preminente la fondazione del The Guardian) e, soprattutto, della presa di consapevolezza della propria condizione, in quel caso di subordinazione, per sovvertirla, e affermarsi in quanto individui.