Il regista dissidente Kirill Serebrennikov ha presentato il suo nuovo film Petrov’s Flu al Festival di Cannes del 2021, senza però poter prendere parte alla kermesse. Su di lui infatti pesa ancora un divieto di lasciare il suolo russo, ed è solo l’ultima delle vessazioni che il regista cinquantenne sta subendo da parte del proprio governo. Sebbene infatti si tratti di uno dei registi cinematografici e teatrali di punta del paese, Serebrennikov negli anni passati è già stato accusato di frode ed incarcerato, subendo un accanimento nei suoi confronti difficile da comprendere se non con le lenti della censura di stato, che vuole punire il suo tono provocatorio e la sua avversione per il governo di Putin.

Questa premessa necessaria ci occorre per comprendere il complesso Petrov’s Flu, realizzato a partire dal romanzo del 2018 The Petrovs in and around the flu di Alexey Salnikov. Il film, già abbondante di metafore e suggestioni, che nascono a partire dall’osservazione della vita in Russia, si presta anche ad accogliere la nostra prospettiva di spettatori che nel frattempo hanno vissuto una pandemia globale e più di recente lo scoppio del conflitto in Ucraina in cui i russi hanno purtroppo un ruolo cruciale.

Il film ci lascia spiazzati già dalla sua preziosissima sequenza iniziale, in cui il protagonista Petrov scende da un autobus dove si stava stringendo nel cappotto, scosso da tosse e febbre, e gli viene dato in mano un fucile con cui è obbligato a sparare a una fila di distinti signori e signore. Un concitato inizio per un racconto che scorre tra le vite dei protagonisti, Petrov, sua moglie e suo figlio, tutti affetti da una febbre che colpisce ognuno con sintomi differenti e porta a degli stati allucinatori impressionanti, che spesso sfociano in violenza.

La loro febbre è però quasi un sollievo dalla propria frustrazione quotidiana, un modo per evadere dalle regole e dalle vessazioni, e al tempo stesso una possibilità per chiudersi in se stessi e vivere le proprie allucinazioni sognanti. Il film infatti è un ritmato caos in cui si passa da episodi verosimili a scene oniriche, servendosi spesso dello stratagemma del cambio di location in piano sequenza, che sbalza i personaggi da un luogo all’altro lasciando lo spettatore perennemente sorpreso e stimolato.

Come negli altri film di Serebrennikov, si fa riferimento esplicito a tutte le altre arti,  il teatro, il fumetto, la letteratura e soprattutto la musica, che imperversa con stili e ritmi differenti rafforzando l’idea di uno sfasamento spazio temporale e trasformando il racconto drammatico in un’opera rock. L’allucinazione a tratti sfocia nel ricordo, che prende il formato dei filmati fatti con vecchie videocamera amatoriali che riprendono il punto di vista di Petrov ragazzino e ci portano nella Russia pre allunaggio.

L’introduzione di diversi formati sottolinea un cambio di punto di vista, che trova il suo compimento in una lunga sezione del film che è addirittura in bianco e nero, in contrasto nettissimo con la fotografia satura e contrastata che ha regnato nella gran parte del film. Questi diversi formati portano anche sempre a un cambio di prospettiva, per cui la narrazione passa attraverso lo sguardo e la voce di qualcun altro, che ci conferma o ci nega ciò che abbiamo appena visto, rimettendo in discussione le nostre certezze.

Il risultato è quello di un film composito e imprevedibile, che sorprende costantemente lo spettatore sia nei contenuti, con situazioni paradossali e grottesche, sia nella forma, con ricercate  inquadrature e movimenti di macchina. La febbre di Petrov, presentata come un dato invalidante con cui convivere, diventa chiaramente uno stato che apre la mente, che attraverso il delirio porta in realtà chiarezza in un mondo allo stremo delle forze.