Presentato durante la 20ª edizione del Future Film Festival all’interno della retrospettiva dedicata a Isao Takahata, scomparso il 5 aprile scorso, Pioggia di ricordi è un capolavoro dell’animazione giapponese e del cinema tutto, scritto e diretto da Isao Takahata nel 1991 e tratto dal manga omonimo di Hotaru Okamoto e Yuko Tone. È un racconto dolceamaro che ha il sapore del cinema intimista di Yasujiro Ozu, a cui Takahata è sicuramente debitore, ma forse è con Il posto delle fragole di Ingmar Bergman che possiamo riconoscere ancor più punti di contatto.
La storia di Taeko Okajima, impiegata ventisettenne single di Tokyo che parte per una vacanza in campagna, non è tanto dissimile dal tormentato viaggio in macchina del vecchio professor Isak Borg con la nuora Marianne. Come per Bergman, quello di Takahata è un invito a guardarsi indietro, a ritrovarsi per riscoprire dove alberga la felicità, dov’è il nostro posto delle fragole. Visitando i luoghi dell’infanzia Taeko viene assalita dai ricordi: i compagni di banco, la prima infatuazione, le mestruazioni. Ricordi che si fanno coscienza, voci, grilli parlanti che le indicano un cambio di rotta e trasformano il suo soggiorno a Yamagata in un’epifania. Ci provò anche Paolo Sorrentino, nel 2013, con il suo Jep Gambardella che, travolto dai ricordi, finalmente smette di ascoltare le sirene de La grande bellezza. Ma qui siamo da tutt’altra parte.
Tre anni dopo Una tomba per le lucciole, Takahata alza nuovamente l’asticella di un modo di fare animazione al tempo semplicemente impensabile. Chi mai avrebbe sprecato matite e fogli da disegno per delle vicende così tremendamente realistiche, mature, adulte? Chi mai poteva pensare, negli anni dell’esplosione di Akira di Katsuhiro Otomo, di mettere gli strumenti più adatti all’affermazione della fantasia al servizio di una storia fatta di persone come noi che vivono in un mondo come il nostro? È anche grazie a Takahata se oggi possiamo godere del prologo muto di Up di Pete Docter e Bob Peterson e del finale di Coco di Lee Unkrich e Adrian Molina.
E dietro tutto questo, sullo sfondo, nella scelta di Taeko tra città o campagna, si fa sentire un chiaro messaggio ecologista, uno stimolo ad abbandonare la cosiddetta “civilizzazione” in vista di una vita rurale, a stretto contatto con le proprie radici. Argomento caro anche all’amico e collega Hayao Miyazaki e sul quale Takahata sarebbe tornato tre anni dopo, con impeto partigiano, in quell’esilarante e visionaria storia di resistenza bestiale che è Pom Poko. Non è un caso infatti che gli animali protagonisti di quest’ultimo, i tanuki, vengano menzionati in Pioggia di ricordi proprio durante uno dei contatti più significativi per la protagonista con la natura.
Ingiustamente poco conosciuto rispetto ad altri titoli più famosi ma meno rivoluzionari dello Studio Ghibli, Pioggia di ricordi è il capolavoro realista che non ti aspetti in una produzione piena di animali parlanti e creature magiche, dotato di una scrittura incredibile nel far emergere il sentimento senza scadere mai nel ridicolo, che non si risparmia in nulla, nemmeno in un finale toccante dove esplode in un onirico che personalmente metto accanto al miglior Federico Fellini.