Pixote – la legge del più debole è un film che fa male. È impossibile, durante la visione, non percepire la sofferenza dei giovanissimi protagonisti, bambini reietti, che passano l’infanzia fra le carceri minorili e la strada, tra una rapina e un traffico di droga, passando per la prostituzione, finché non muoiono come sono nati: nell’indifferenza. Nel suo terzo lungometraggio di finzione, Héctor Babenco affronta un tema così delicato con lo sguardo sadico proprio della realtà, trovando nell’esposizione quasi documentaria dei fatti, piuttosto che in una forma cinematografica elaborata e costruita, il metodo più adatto per raccontarlo.

Pixote infatti è un film intriso dei propositi del neorealismo: nella scelta degli attori, dato il protagonista è un bambino che conduceva veramente quella vita (e che continuerà per quella via fino alla sua morte, a 19 anni, per mano di un poliziotto), nello spostamento del baricentro narrativo, che non converge verso un punto di risoluzione drammatica ma procede attraverso l’accumulo di situazioni e infine, nella presentazione trasparente e intellegibile del reale come fonte conoscitiva. Con tali premesse quasi antropologiche, si potrebbe pensare ad uno stile di regia sobrio, tendente alla neutralità. Babenco, al contrario, riesce perfettamente nel delicato compito di enfatizzare la scena senza stravolgerla, restituendo le complesse dinamiche emotive dei personaggi.

La macchina da presa spesso si sofferma su dettagli con tale insistenza da deformarli, da renderli qualcosa di opprimente, specialmente in certi primi piani dal taglio claustrofobico, inquadrature che lentamente stringono su un dettaglio come a volerlo imprigionare. La violenza è estrema e diretta, assistiamo ad ogni stupro, omicidio e pestaggio, il fuori campo è abolito. Non è un caso se registi controversi e interessati a tematiche sociali del calibro di Spike Lee e Harmony Korine hanno indicato Pixote come loro film preferito (difficile non notare l’influenza dell’opera di Babenco in Gummo di Korine), vista l’intelligenza con cui il regista e lo sceneggiatore, Jorge Duràn, hanno saputo adattare il romanzo Infancia dos mortos, di José Louzeiro.

La legge del più debole è poi anche un film che fa bene. Opere di questo spessore, capaci di farsi carico di importanti messaggi sociali, si contano con le dita di una mano. Questi lavori sono di un’importanza vitale, dimostrano che la settima arte può essere un’arma di grande efficacia nelle mani dell’informazione, per sensibilizzare il pubblico magari, ma anche per poter agire concretamente sulle istituzioni. Penso ad esempio a J.F.K. di Stone, il cui impatto fu tale da portare il governo degli U.S.A a riaprire le indagini sull’omicidio Kennedy e alla divulgazione pubblica di documenti fino ad allora catalogati top secret. Pixote è un film estremo e sconcertante che, terminata la visione, lascia più amarezza che gioia ma ciononostante (o proprio per questo) un grande capolavoro, nel bene e nel male.