La sedicesima edizione di Archivio Aperto è stata caratterizzata da una forte impronta politica dal respiro internazionale. I tanti splendidi film in concorso, in un modo o nell’altro, sembrano raccogliere una necessità sempre più impellente di politica. Allo stesso tempo “The future is memory”, slogan di questa edizione del festival, lega tale bisogno al ricordo, al recupero della storia per comprendere meglio il presente e lottare per un futuro migliore. In questo articolo si parlerà di tre film particolarmente esemplificativi: Non-Aligned: from the Labudović reels di Mila Turajlić, R21 Aka Restoring Solidarity di Mohanad Yaqubi e il monumentale El Juicio di Ulises De La Orden, a cui è stato assegnato il premio come miglior film in concorso.

In Non-Aligned Mila Turajlić ricostruisce uno snodo centrale della storia della sua Jugoslavia, il momento in cui Belgrado sembrava il centro del mondo, o meglio del Terzo Mondo. Attraverso la memoria di un uomo che quelle immagini le ha girate, ovvero Stevan Labudović, cameraman personale del generale Tito, la regista serba ricostruisce gli eventi che hanno portato alla nascita del movimento dei paesi Non Allineati. Momento che ha avuto il suo apice col vertice del 1961 nella capitale jugoslava. L’obiettivo di questa unione d’intenti tra paesi così distanti tra loro era offrire un’alternativa al bipolarismo della Guerra Fredda fondata sul principio di autodeterminazione dei popoli e sulla solidarietà: “the freedom to be free”. Una promessa mancata, ma che ha unito quasi tutto il mondo.

Raccontando questi eventi, quasi mossa da una ricerca di valori su cui fondare la sua identità jugoslava, la regista di Belgrado porta avanti anche un’importantissima riflessione sulla propaganda come strumento di distorsione della verità storica. Una riflessione che si esprime nel complicato tentativo di restituire il sonoro ai filmati del vertice di Belgrado registrati senza audio, al fine di far metaforicamente risuonare la verità nelle immagini. Per quanto l’ideologia filtri automaticamente ogni lettura della storia, Mila Turajlic propone un’interpretazione, sì basata sui fatti, ma che non svilisca la potenza rivoluzionaria degli ideali, le speranze di libertà dei popoli oppressi.

Con la stessa tensione internazionalista di Non-Aligned, l’attualissimo R21 Aka Restoring Solidarity di Mohanad Yaqubi è un forte documento di solidarietà tra i popoli. Un film-saggio che dà voce alla causa palestinese a partire da 20 film in 16mm conservati a Tokyo dal movimento giapponese di solidarietà con la Palestina. Una ricostruzione che racconta anni di massacri e soprusi costruendo una linea immaginaria tra Giappone e Palestina fondata sulla lotta all’oppressore. Il regista ripercorre i punti salienti della storia palestinese che si intreccia anche con quella di Libano e Siria.

Un esempio sono le agghiaccianti immagini di Quinetra, città siriana, rasa letteralmente al suolo da Israele nella Guerra dei Sei Giorni senza lasciare in piedi neanche un edificio. Città che il governo siriano ha deciso di non ricostruire affinché diventi un monito a ricordo di ciò che è accaduto. Il film di Yaqubi è un tracciato attraverso l’orrore della violenza e della sopraffazione, una testimonianza che ci impone di non dimenticare. Un invito a restaurare un movimento militante di solidarietà tra i popoli che sia non solo internazionale, ma universale.

In El Juicio, Ulises De La Orden riassume le 530 ore del processo alle Giunte militari argentine avuto luogo nel 1985. Il regista svolge un’operazione di importanza vitale offrendo alla collettività la possibilità di conoscere, di sentire con le proprie orecchie, le testimonianze da quei sette anni di orrore. Dopo il colpo di Stato militare del 1976, il nuovo governo presieduto da tre generali aveva costruito un’impalcatura statale fondata su una presunta guerra alla sovversione. Una violenza generalizzata e sistematica paragonata più volte non a caso ad un inferno dantesco. Sono più o meno 30000 i desaparecidos: uomini, donne, spesso bambini, prelevati senza motivo dalle forze armate e uccisi dopo aver subito le più abominevoli torture.

Il montaggio realizzato dal regista argentino è un vero e proprio tunnel di atrocità dove la parola diventa ancora più vivida e potente delle immagini. Il lavoro del regista consiste nel dare una struttura ai filmati lasciando intatta la loro forza straripante da cui è impossibile staccare gli occhi. Una forza che conduce lo spettatore nell’abisso più nero della malvagità umana, stimolandolo a restare vigile affinché tale orrore non possa “mai più” riproporsi.

I tre film di cui si è parlato, pur raccontando storie e mondi distanti l’uno dall’altro, pur utilizzando documenti storici provenienti da un passato apparentemente remoto, mostrano un urgente bisogno di solidarietà. Una necessità sempre più forte e attuale, risposta disperata alla violenza a cui ormai assistiamo quotidianamente.