Ad averci fatto avvicinare al cinema è anche la possibilità di osservare storie e vite che scorrono sullo schermo. Chi sono gli spettatori, se non inguaribili voyeur che accettano l’invito di immergersi nelle vite degli altri? È questa funzione voyeuristica del cinema che Céline Sciamma porta all’estremo in Portrait de la jeune fille en feu. La macchina da presa della Sciamma si concentra perpetuamente sulle sue protagoniste, studiandole dettagliatamente e invitando lo spettatore a fare lo stesso.
La storia si sviluppa attorno alla relazione tra due donne nella Francia del XVIII secolo. La pittrice Marianne (Noémie Merlant) è chiamata a realizzare il ritratto di Héloïse (Adèle Haenel) al fine di suscitare l’interesse del pretendente della ragazza. Marianne è però costretta a dipingere il quadro all’insaputa di Héloïse, che è contraria al matrimonio. I momenti passati insieme daranno vita ad una complicità tra le due che sfocerà in amore.
Nella prima parte della pellicola, quando Marianne osserva attentamente i gesti e il volto di Héloïse, incontriamo un tono misterioso, quasi hitchcockiano che genera suspense. A questo si alterna una poeticità delle immagini che desta il ricordo del cinema di Jane Campion e Lezioni di piano in particolare. Nell’apertura, in cui Marianne raggiunge la costa della Bretagna dove vive Héloïse, sembra esserci una diretta citazione alla scena di Lezioni di piano in cui il personaggio di Holly Hunter arriva nella straniera Nuova Zelanda. Quello della Sciamma è un film che procede per contrasti: tra l’acqua – da cui le protagoniste sono delimitate – e il fuoco, simbolo della passione. Vi è opposizione anche tra l’esperienza di Marianne e la semplicità di Héloïse, tra dovere e desiderio.
Marianne è una figura indipendente, quasi atipica per il periodo in cui la storia si svolge. La sua autonomia è però data dal fatto che è figlia di un pittore; questo le permette di esercitare la stessa professione del padre. Seppur contraddistinta da una certa libertà, Marianne resta comunque subordinata ad un uomo. Héloïse, al contrario, ha vissuto in uno stato quasi di reclusione e non conosce molto della vita; la donna non ha mai avuto il piacere di ascoltare un’orchestra, è inesperta e per questo attratta da Marianne, che ai suoi occhi diventa quasi un oggetto esotico.
Sciamma ritrae lo sviluppo del sentimento tra le due, con una formula simile a quella utilizzata da Todd Haynes in Carol: ogni immagine, gesto e sguardo è un tassello che va, lentamente, a costruire la strada verso quello che sarà il culmine del rapporto. E l’apoteosi arriva nell’intensa scena in cui Marianne ed Héloïse partecipano ad una celebrazione che sa di rito spirituale, dove ancora una volta gli sguardi delle donne si incontrano e il fuoco divampa, simboleggiando l’ormai incontrollabile desiderio. C’è però un senso di predestinazione che incombe sulle due, rappresentato dal dipinto che Marianne è costretta ad eseguire. Se il destino di Orfeo ed Euridice (di cui le donne leggono la storia) è deciso da uno sguardo, quello di Marianne ed Héloïse è determinato da un’azione simile: il ritrarre non è che un’altra versione dell’atto del guardare.
Portrait de la jeune fille en feu è un lavoro di ipnotica espressività, che richiederebbe molteplici visioni per essere assimilato completamente. Il testo della Sciamma pretende di essere percepito con la stessa forza vissuta dalle protagoniste sullo schermo. E questo lo rende un film dalla potenza straordinaria, che rapisce fin dalle prime immagini e rilascia lo spettatore soltanto con la sua struggente conclusione.