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Speciale “Petite Maman” – Intervista a Céline Sciamma

Abbiamo chiesto a Sciamma se c’è bisogno di mettere al margine gli uomini per recuperare uno sguardo femminile. Se sia una cosa voluta, un effetto necessario per recuperare uno sguardo integrale delle donne sulle donne, senza interferenze. E se il senso di solitudine delle soggette, con cui spesso si chiudono i suoi film, sia da interpretare più come una conquista (al modo di Virginia Woolf nella Stanza tutta per sé) o piuttosto una sconfitta. “Le due riflessioni sono collegate, ha risposto l’autrice, la solitudine dei personaggi impara a convivere con la loro individualità, perché sono fuori dalla pressione della società della performance”.

Speciale “Petite Maman” – Una fiaba concreta e quotidiana

Basterebbe l’inizio a esemplificare la precisione chirurgica della mise en scène: una bambina fa il giro di una casa di riposo salutando le anziane ospiti, fino a raggiungere la mamma in una stanza ormai vuota. Un saluto non dato, un commiato difficile e mancato, che apre a dubbi, domande, rimpianti. Dopo la morte della nonna la piccola Nelly accompagnerà la madre nella casa della sua infanzia e nel bosco che la circonda incontrerà una misteriosa bambina che diventerà sua amica. Dire di più sarebbe un vero peccato, sia perché ci sembrerebbe di rovinare tanta mirabile semplicità con parole inutili. 

Céline Sciamma e la restituzione dello sguardo femminile

La regista, in Ritratto della giovane in fiamme sceglie di mettere il fuoco su un personaggio sociologicamente emblematico, ma senza fare un biopic, sceglie una storia di fantasia per uscire da una dinamica del racconto impostato sul “nonostante tutto (l’oppressione maschile, le barriere dei costumi), lei era eccezionale e ce l’ha fatta” e così la visione sulle “personagge” finisce per essere orizzontalmente positiva. Infatti il progetto narrativo e politico del film è che tutte le protagoniste siano soggetti, nessuna sia reificata, oggettificata dagli occhi dell’altra. E questo è reso possibile dal tipo di sguardo che attraversa il film. Uno sguardo femminile (quello della regista, delle protagoniste e perfino del pubblico a cui il film è rivolto) che si dichiara palesemente epigono di quel female gaze di mulveyana memoria.

“Portrait de la jeune fille en feu” di Céline Sciamma al BFI London Film Festival 2019

Ad averci fatto avvicinare al cinema è anche la possibilità di osservare storie e vite che scorrono sullo schermo. Chi sono gli spettatori, se non inguaribili voyeur che accettano l’invito di immergersi nelle vite degli altri? È questa funzione voyeuristica del cinema che Céline Sciamma porta all’estremo in Portrait de la jeune fille en feu. La macchina da presa della Sciamma si concentra perpetuamente sulle sue protagoniste, studiandole dettagliatamente e invitando lo spettatore a fare lo stesso. Portrait de la jeune fille en feu è un lavoro di ipnotica espressività, è un film dalla potenza straordinaria, che rapisce fin dalle prime immagini e rilascia lo spettatore soltanto con la sua struggente conclusione.

“Bande de filles”, il girlhood di Céline Sciamma

Presentato in anteprima al cinema Lumière, il nuovo film di Céline Sciamma era l’ultimo appuntamento con la rassegna dei finalisti del LUX Prize 2014. Dalla sua nascita nel 2007, il premio reso possibile dal Parlamento Europeo persegue l’obiettivo di animare il dibattito su problemi e valori che interessano la diversità culturale europea. Ogni anno vengono puntati i riflettori su tre pellicole scelte in una rosa di dieci. Dopo aver proiettato a dicembre scorso Razredni Sovraznik – Class Enemy di Rok Biček e un mese fa Ida di Paweł Pawlikowski (vincitore degli Oscar 2015 come miglior film straniero), ecco Bande de filles – Girlhood, terzo lungometraggio della Sciamma.