Quando volete assicurarvi che un film vi abbia convinto davvero, al di là della vostra capacità di razionalizzare sui suoi meriti oggettivi, provate a chiedervi "e se fosse l'ultimo?". Andate col pensiero a quel vicolo cieco (dead end) di cui siamo in ogni momento vagamente coscienti pur tentando di spingerlo (to push) più lontano possibile da noi; avere vicina quell'ora e tre quarti, o due, o tre di immagini in movimento vi dà il giusto senso di serenità? Non serve un film eccezionale, solo un'esperienza pienamente soddisfacente. Per chi ama il cinema non è così raro. Pushing Dead invece è rarissimo, perchè è il film che non solo ha tutte le carte in regola per passare il nostro piccolo test cine(cro)filo, ma vuole farlo. Incontrarci lì intendo. Ha studiato, si è applicato, non vede l'ora. Appuntamento una notte su una panchina, in un parco di San Francisco.

Film terapeutico se mai ce n'è stato uno, è il primo lungometraggio del cinquantenne Tom E. Brown, sieropositivo da 31 anni, che in più di un'intervista giura di trovare la vita e la sua malattia divertenti almeno quanto sono spaventose; visti i risultati forse bisogna credergli. Tiene anche a far presente che ha scelto di raccontare la vita di un malato di aids (da soli 22 anni, se ne leva una decina in spregio alla retorica) per mera facilità di immedesimazione, ma ogni spettatore è pienamente autorizzato a sostituire questo assassino silenzioso - che “ una volta era una cosa grossa, se ne parlava tanto..” e adesso è quasi un fastidio come un altro - con qualsiasi problema personale possa turbarlo. Questo "piccolo film" come lo chiama lui non è quindi un documento storico nè l'ultima appendice al cinema statunitense d'impegno civile sul tema (Philadelphia, Dallas Buyers Club). In realtà dovrà per forza esserlo, in seconda o terza battuta, ma guardandolo è così naturale, come dire assodato che Dan con le sue pillole sia un ragazzo come gli altri e tutti i suoi amici non facciano una piega, che può dirsi pienamente raggiunto lo scopo dichiarato di Brown: rendere il film accessibile, nel senso di "abitabile", per chiunque.

Pensandoci bene però l'aids gli fornisce una risorsa narrativa estremamente duttile, senza la quale difficilmente si potrebbe andare al punto in modo così diretto. Intanto perchè è una disgrazia, da sempre e per sempre il terreno privilegiato delle commedie - e Pushing Dead è una grande commedia, una di quelle che sapete, che non smettono mai di far ridere; con il surplus di essere una disgrazia ad altissimo tasso mediatico, da cui una pruderie che finora ha tenuto tutti lontani dall'idea di scherzarci sopra e quindi la totale assenza di ingombranti termini di paragone. E poi perchè è una malattia letale con 25 milioni di vittime all'attivo, ma se adeguatamente trattata oggi non uccide più. Una condanna sospesa, rimandata a data da destinarsi. Il regista ha addirittura parlato di un "senso di onnipotenza" per i sopravvissuti di lunga data. Ecco come l'aids lo aiuta a parlare di noi: è una versione in piccolo, clinicamente analizzabile a colpi di risate, della morte naturale - altra condanna di cui siamo sempre certi ma che non vale a scomporci a meno che bussi alla nostra porta. A Dan succede quando per un disguido gli viene sospesa la copertura assicurativa sui medicinali.

Pushing Dead non attacca il sistema sanitario americano: quasi lo ringrazia, con un'ironia del tutto aliena ai film precedenti sull'argomento, per essere il mostro disumano su cui le vittime possono misurare la propria umanità, buon ultimo nella lista dei mali incurabili che ispirano il percorso di autoriflessione narrato. Il tema della morte incombente incrocia fino a sovrapporvisi quelli della vecchiaia, della ricerca dell'amore, della paura di impegnarsi. Dan ha quarant'anni ma è un vecchio, perchè sono i vecchi a sentire la morte più vicina; la malattia gli ha già tolto il compagno di una vita e lui è tormentato da incubi infantili, dalla nostalgia dei suoi dieci anni, dal desiderio di trovare "qualcuno"; il suo amico Bob (un monumentale Danny Glover) ha litigato ferocemente con la moglie e non sa decidersi sul da farsi: ne parla con Dan "da vecchio a vecchio" (cit.) brontolando che dovrebbe essere il suo turno per autocommiserarsi; la coinquilina di Dan cerca appuntamenti galanti un po' fuori tempo massimo e poi manda tutto alle ortiche. Ma Dan sa che da piccolo gli bastava concentrarsi su un incubo abbastanza a lungo per farlo sparire; che basta un odore particolare perchè il passato ritorni come se non fosse mai andato via..e intanto un vecchio saggio nei panni di una bimba fa visita a tutti con poche parole: “non aver paura di nulla, se non della paura”. Così, quando farete brutti pensieri, ricordatevi di Pushing Dead.