Gender Bender ha scelto di chiudere i battenti della sua quindicesima edizione con un documentario, Quest, tanto forte quanto tenero, per la sua capacità di restituirci l’intima verità della vita di una famiglia afroamericana del Nord di Philadelphia, in 8 anni di pedinamento documentaristico messo in atto dal regista Jonathan Olshefski e da un’intera troupe, che col suo lavoro si è votata anima e corpo a questa missione: filmare la storia dei protagonisti nel tempo reale di quasi 10 anni, dal primo mandato di Barack Obama fino all’ascesa di Donald Trump.
Per 8 anni la telecamera ha seguito quotidianamente la vita del produttore di musica hip hop Christopher “Quest” Rainey, di sua moglie Christine'a "Ma Quest" e della figlia PJ in uno dei quartieri “peggiori” di Philadelphia. Quest si apre con il giorno delle nozze tra Mr. e Mrs. Rainey, già compagni di vita e di amore da 15 anni. Ripresi spesso nell’arte di districare i nodi dei loro ispidi capelli (una nota folk che contribuisce ad intenerire lo spettatore) così come saranno chiamati ad affrontare altrettante prove della vita, i due compagni si descrivono come l’uno l’opposto dell’altra: a Chris piacciono i cartoni animati a “Mama Quest” i film dell’orrore e i gialli, oltre ai figli nati da storie precedenti, il frutto del loro amore maturo è stato PJ, la loro piccola, e insieme alla bimba lo studio di registrazione aperto nell’interrato sotto casa, e attivo da circa 13 anni (al momento in cui ha inizio il documentario PJ e lo studio hanno la stessa “età”).
Le luci rosse dello studio di registrazione si accendono una volta a settimana, il venerdì, e accolgono al suo interno i rapper del quartiere che tra fumo e birre gridano al microfono la loro rabbia per ciò che non va. Il rap resta una potente arma di denuncia e ribellione allo status quo, da parte di tutta una comunità che si sente abbandonata dai poteri forti e dalla politica e che ha inseguito il sogno di un mondo nuovo e di una reale possibilità di espressione per la comunità nera, votando per Obama Presidente. Quest tutte le mattine porta a scuola la sua bambina in bicicletta, poi consegna i quotidiani porta a porta, e vive la sua vita perseguendo l’insegnamento materno “invece di fare qualcosa di distruttivo è meglio fare qualcosa di costruttivo”, anche se nel 1983 a Filadelfia arrivò il crack e la gente impazzì ed iniziò ad ammazzarsi per strada. “Ogni giorno dalla mia finestra vedevo scene da film di gente che si sparava ed era tutto vero”. Anche adesso nel quartiere Nord della città le cose non vanno troppo meglio, la piccola PJ ha il coprifuoco alle 18, perchè il suo quartiere è un posto pericoloso dove crescere, e quotidianamente si verificano casi di gente ammazzata per strada a causa delle lotte tra gang di delinquenti locali.
“Questi ragazzi hanno bisogno di parlare con qualcuno io li faccio sfogare gli do valore. Sto cercando di piantare un seme nel mio quartiere e spero venga su qualcosa di buono.” Il seme piantato da questo uomo coraggioso è quello della musica e dell’ascolto. Lo stesso messo in pratica a livello privato nella sua famiglia. La piccola PJ cresce e da bambina che sogna di diventare DJ, si trasforma in una giovane donna lesbica. In pochi fotogrammi il documentario racconta l’intimità di un “outing” avvenuto in modo fluido e naturale, come dovrebbe sempre essere, pur nella dissonanza di qualche retaggio culturale “sessista”, che attribuisce ad esempio la “causa” dell’essere lesbo ad una mancata attenzione da parte della madre o alle troppe ricevute dal padre. Antiche tematiche difficili da sradicare. Ma se già la reazione “alla notizia” riesce ad essere serena, qualche passo avanti è stato fatto. E la cultura si evolve all’accoglienza naturale di ciò che è e non “diventa” di un modo di essere e non di un “atteggiamento”.
Sono queste le ragioni che fanno di Quest un film dall’intento epico, un vivido “affresco di classe” in America oltre ad essere un testamento di amore, impegno e speranza.
“Il mio unico scopo è di dare agli spettatori la possibilità di entrare in contatto con queste persone davvero incredibili e di condividere l’amore che provo per loro. Questo è ciò che voglio che lo spettatore si porti via. Le voci di queste persone dovrebbero essere ascoltate” (Jonathan Olshefski).