Arriva anche in Italia un titolo presentato alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes e osservato dai cinefili con interesse e con curiosità, date le poche informazioni a riguardo. Si tratta del film italiano Re Granchio, firmato dalla coppia di registi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis. I due registi hanno già collaborato prima per la realizzazione di due documentari, Belva Nera (2013) e Il Solengo (2013), di cui il loro nuovo film sembra completare il percorso. Re Granchio li sposta però nel territorio della finzione, restando però sempre legati a tradizione, costumi e recupero del folklore.

La storia, infatti, si svolge in un paese laziale dell’800 (dove accanto al tanto, recentemente incriminato romanaccio, sentiamo anche parlare un italiano poeticamente pulito), dove il protagonista Luciano è un giovane ubriacone che vaga per le campagne nella totale inerzia. Sono poche le cose che lo motivano e lo sostengono nelle sue azioni: l’amore per Emma, la figlia del pastore, e lo scontro aperto con il Principe della regione che ha deciso di chiudere un passaggio per far transitare le pecore al pascolo. Vediamo che Luciano vive consumandosi tra queste tensioni estreme, vissute con tedio e drammaticità tanto quanto il suo modus operandi non segue alcuna pianificazione, alcun vero progetto, ma solo dal suo istinto alimentato dal consumo incessante di alcol.

La sua incapacità di controllarsi e di godere di quel che di buono vi è nella sua vita, lo porterà a dover abbandonare il suo paese e ricominciare da zero nella Terra del Fuoco, invecchiato da quell’esaurimento fisico ed emotivo che ha vissuto in patria. In questo nuovo mondo, girato in location, trova nuovi obiettivi da inseguire, sempre con il medesimo fatalismo, senza riuscire davvero a prendere in mano la situazione, ma all’occorrenza stringendo patti, approfittando delle situazioni di comodo, ricorrendo alla violenza fisica piuttosto che al dialogo. Un’indolenza che cela la sofferenza profonda di un uomo che non ha il coraggio di guardare a sé stesso, di prendersi cura di sé e dei suoi sogni, che accarezza in illusioni lontane, eteree e irraggiungibili. Ambientata in un passato che ci appare così remoto e ancestrale, la storia assume i contorni dell’epica, e se ci pensiamo sono stati tanti negli anni recenti i film che adottano questo tipo di ambientazioni.

Parlando di questo film si è fatto riferimento al realismo magico così come alla ricostruzione antropologica, ma forse dovremmo spingerci ancora oltre perché questi film usano un contesto storico, più o meno aderente al vero, nel tentativo di immergerci in una riflessione filosofica, in una astrazione che ci riporti all’essenza dell’umano attraverso personaggi in cui possiamo riconoscerci, di cui possiamo ridere e soffrire prendendone le vicende come moderni racconti epici. In questa prospettiva penso a Jauja di Lisandro Alonso (2014), Aferim! di Radu Jude (2015), A Lullaby to the Sorrowful Mistery di Lav Diaz, (2016), Monte di Amir Naderi (2016), Zama di Lucrecia Martel (2017), tutti film diversi, che rispondono alle sensibilità dei singoli registi, ma che non possiamo far rientrare semplicemente nelle categorie del film storico o del dramma storico. Forse anche tra gli italiani troviamo qualcosa con cui confrontarci, come Menocchio di Alberto Fasulo (2018) o Piccolo corpo di Laura Samani (2021, presentato anch’esso al Torino Film Festival dopo essere passato dalla Semaine de la Critique).

Possibile che ci sia una tendenza del cinema recente a confrontarsi con un contesto storico del passato per evidenziare le fallacie del presente o per ricostruire una nuova epica del racconto? Presto per dirlo, ma la suggestione è davvero interessante. A maggior ragione se pensiamo che in Re Granchio la narrazione ci viene introdotta da un gruppo di anziani che cercano intorno a un tavolo di ricostruire le vicende tramandate di generazione in generazione, esplicitando il lavoro di immaginazione necessario per ricostruire una storia e presentarla a dei nuovi auditori. Il film rappresenta senza dubbio un interessante passo in una nuova direzione per il cinema italiano, e bisognerà rivederlo ancora negli anni.