Una domanda, una ricognizione, una richiesta d’aiuto. Torna negli occhi Gena Rowlands, quando si chiede se un ricordo sia “qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre”. Un’altra donna, un altro uomo, un altro inverno. Sembra infilarsi nelle pieghe della questione, Valerio Mieli. Prende lui e lei, anime senza nome, prende i frammenti del loro discorso amoroso. Una partitura per associazioni mentali. Il ricordo non come veicolo nostalgico, ma sintomo dell’impossibilità di emanciparsi dal passato. Quasi uno scandalo per noi italiani. Catene, tormenti.

Chi ha oggi il coraggio di fare film d’amore in Italia? Chiaro che l’amore è ovunque. Ma i film d’amore, quelli che si prendono il rischio di calarsi in storie che “più sono stupide e più sono vere”, non cedono alla melassa ma trattano l’amore per quel che è: “mistero puro e semplice” per citare chi l’ha capito. Fuori i nomi. Paolo Franchi, la borghesia, le case che non si abiteranno mai. Ferzan Ozpetek, quando dà retta al mélo e addomestica la soap. Silvio Soldini, gli uomini che piangono, i colori nascosti. E ovviamente Luca Guadagnino, ultimo romantico post viscontiano.

Mieli, ecco. Sono trascorsi nove anni da Dieci inverni. Troppi. Oggi torna e perfora i cuori scegliendo sì la figura più importante per il racconto di un amore fallito – il ricordo – ma sottolineandone la natura crudele, il suo apparire all’improvviso determinando umori, dolori, gioie, rabbie, incomprensioni. Può sembrare banale, eppure Ricordi? si regge tutto su questa idea, con la complicità fondamentale del montaggio scomposto, non cronologico, oserei dire arcalliano, di Desideria Rayner, che segue il flusso soggettivo dei protagonisti procedendo per sensazioni, suggestioni, ricatti emotivi inflitti dalla memoria.

Per un cinema abituato a spiegare le riflessioni, che non dà sempre fiducia all’intelligenza emotiva dello spettatore e guarda al passato più come rifugio sicuro che insidiosa trappola, il secondo film di Mieli pare un azzardo notevole. Una regia scatenata e calcolatissima, la magnetica fotografia di Daria D’Antonio, un tessuto sonoro persistente come una spietata ossessione, un decoupage emotivo ora struggente ora tenero. Erotismo e danze nei fienili, feste che si rincorrono e promesse non mantenute. Può irritare, non c’è dubbio. Tuttavia, se si sceglie l’immersione, può anche cogliere alla sprovvista, scaldare il cuore e un attimo dopo straziarlo. Cos’è un ricordo? Una storia già finita al principio. Il cappello perduto di Linda Caridi, gli occhi smarriti di Luca Marinelli. Il presente non esiste.