Les Années Super8 degli autori Annie Ernaux e David Ernaux-Briot ha ribadito l’interesse storico e pubblico delle immagini private e l’importanza del dialogo tra immagine privata e la parola scritta. Madre e figlio hanno lavorato separatamente sull’archivio privato dei film di famiglia degli Ernaux, girati con un Super8 dal 1972 al 1981.

David ha selezionato e montato il materiale in una narrazione visiva a cui fa da contraltare la narrazione scritta della madre Annie, recentemente insignita del Premio Nobel per la Letteratura. La parola, scritta e recitata dalla Ernaux, guida lo spettatore attraverso le immagini girate in grandissima parte dal marito Philippe, a cui la scrittrice dice di aver lasciato questo ruolo senza protestare, per paura di danneggiare un apparecchio costoso e per una tacita divisione dei compiti basata sul genere che aveva caratterizzato il loro rapporto fin dall’inizio.

Nella presentazione del film, Ernaux afferma di aver capito, riguardando i film amatoriali, che questi erano una sorta di documento su “passatempi, stile di vita e aspirazioni” di una classe sociale, quella borghese, negli anni successivi al 1968. Ecco, quindi, nascere il progetto de Les années Super8 che, già dal titolo, mette in relazione immagine e letteratura, affiancando lo strumento per girare il materiale di cui è fatto il film con un romanzo della Ernaux del 2008 (Gli Anni). L’illustrazione della vita borghese della coppia con i due figli è enunciata fin dai primi fotogrammi, in cui Annie viene ripresa di ritorno dalle compere insieme ai figli e successivamente le inquadrature si concentrano, come recita la stessa scrittrice, su oggetti e carta da parati che definiscono lo stato sociale della famiglia.

“Erano momenti straordinari,” continua Ernaux, “allo stesso tempo felici ma anche caratterizzati da una certa violenza”. Si insinua qui l’insoddisfazione della donna per la sua condizione di moglie e madre con meri compiti da “nutrice”: questa insoddisfazione diventerà sempre più forte negli anni, con il crescente desiderio della donna di scrivere e di emanciparsi, non solo dal marito, ma anche dagli stessi giudizi della propria madre, la cui presenza è un continuo ricordo di un passato più povero e timore da parte della figlia di un giudizio negativo come moglie e madre. Le immagini felici che scorrono sullo schermo sono commentate con parole che le contraddicono o che ne evidenziano sfumature che forse coglieremmo appena senza il commento di Ernaux. Progressivamente diventano immagini di alienazione e di reificazione quando la scrittrice parla di sé in terza persona e i filmati dei supposti momenti felici portano alla separazione della coppia.

Alle immagini delle feste di famiglia, dei compleanni, delle visite ai suoceri e alla sorella ribelle si alternano le riprese fatte durante i viaggi in Francia e all’estero. Costantemente il récit di Ernaux mette in relazione questi fatti privati con gli avvenimenti storico-politici. Il viaggio in Cile del 1972 è l’occasione per documentare le speranze di un popolo per il governo Allende e, allo stesso tempo, parlare della cospirazione reazionaria che porterà al golpe e alla repressione nel sangue: quelle girate “sono immagini di un paese che non esiste più”. La pubblicazione del primo romanzo, Gli armadi vuoti (1974), corrisponde alla morte di Pompidou, all’elezione di Giscard e agli attacchi dei conservatori contro Simone Weil per le sue posizioni a favore dell’aborto. Il viaggio in Albania rende consapevole Ernaux di essere tenuta in una bolla non solo famigliare, ma anche politica.

Come nella vita Ernaux ha raggiunto l’emancipazione grazie alla scrittura, così il commento a Les années Super8 permette all’autrice di riprendere la parola, gettando uno sguardo femminile su un materiale girato dal marito come un “happening” famigliare e teatrale su cui lei non aveva avuto alcuna possibilità di parola.