Ci eravamo lasciati qui con uno dei titoli più riusciti e stimolanti non solo di casa DreamWorks, ma del cinema d’animazione mainstream tout court degli ultimi anni. Se con Il gatto con gli stivali 2 - L'ultimo desiderio, la casa della mezza luna esprimeva a gran voce l’intenzione di fermarsi un attimo per riflettere, per assaporare il percorso fatto sino a questo momento e provare così a trovare nuovi spunti di rilancio, Ruby Gillman – La ragazza con i tentacoli (da qui in avanti solo Ruby Gillman) è la perfetta conseguenza di questo passo.

Raccontando infatti le disavventure di una famiglia di mostri marini che cercano di nascondere la propria natura agli occhi degli essere umani con i quali convivono sotto mentite spoglie sulla terraferma, il film abbraccia al suo interno tutte le tematiche, il gusto e le ossessioni del cinema DreamWorks maturato negli anni.

Per certi versi questo progetto potrebbe essere la quintessenza della casa di produzione. Tutto è al proprio posto: una protagonista mostruosa che soffre l’integrazione nella società; la scoperta di un carattere selvaggio che diventa un unicum da salvaguardare invece che da nascondere; l’amicizia tra opposti destinati (non per scelta loro) a non dialogare; un mondo immaginifico tutto da scoprire nascosto sotto una superficie solo apparentemente invalicabile; una grande tradizione epica nel passato dei personaggi dalla quale sarà difficile affrancarsi per il peso delle aspettative ecc.

Insomma, visto l’invito del felino più irriverente delle favole ad assaporare la propria identità con le caratteristiche e le qualità che l’hanno resa riconoscibile in tutto il reame, pardòn, mondo, Ruby Gillman (e il seguente film DreamWorks previsto per il 2023, ovvero il terzo capitolo della saga di Trolls - giusto per stare in materia di “usato garantito”) ricomincia proprio dalle certezze alla base di un simile marchio.

Eppure, proprio per questo, è impossibile non notare quanto quello diretto da Kirk DeMicco e Faryn Pearl sia un film vecchio, in ritardo. Non c’è (più) niente di interessante da scoprire, niente di stimolante da approfondire. Tutto è già ampiamente visto, prevedibile e privo di appeal. I detrattori urleranno nuovamente al plagio nei confronti della rivale Pixar (in effetti ci sono diversi punti in comune sia con il Luca (2021) di Enrico Casarosa che con Red (2022, diretto da Domee Shi) ma la questione più deludente di Ruby Gillman non è la sua scarsa originalità nei confronti dei concorrenti, quanto il suo pigro smalto che rende il progetto tra i più dimenticabili e anonimi tra quelli mai realizzati in casa DreamWorks.

Proprio perché tutto è al posto giusto, tutto risulta incredibilmente sbagliato. Soprattutto per via del fatto che valorizzare l’imperfezione e la stravaganza è da sempre il mantra di chi lavora da quelle parti.