Sbatti il mostro in prima pagina (1972) è immediatamente evocativo della capacità di un certo cinema italiano degli anni che hanno seguito il '68 e preceduto il terrorismo di creare dibattito e passione politica. Le immagini iniziali di repertorio sono fermamente radicate nella realtà di quegli anni con scontri di piazza, comizi elettorali del MSI e i funerali dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, mentre il finale con i liquami che invadono i navigli milanesi assume toni metaforici che sono diventati tuttavia profetici rispetto all’uscita del film, dopo Tangentopoli e la sempre attuale manipolazione dei media.

L’assunto narrativo mette, infatti, in scena un episodio di depistaggio politico a partire da un fatto di cronaca nera che può ricordare il caso Sutter: alla vigilia delle elezioni, il capo redattore di un importante giornale milanese, che evoca la collocazione ideologica del Corriere della Sera di allora, manovra le indagini sull’omicidio di una benestante liceale in modo da orientare i sospetti sugli ambienti della sinistra extra-parlamentare.

La denuncia del controllo dell’informazione da parte del capitale a scopo di contenimento politico, tuttavia, non fu unanimemente considerata in chiave anti-padronale, nonostante il soggetto di Sergio Donati, a cui inizialmente era stata affidata anche la regia, fosse stato rielaborato da Bellocchio e Goffredo Fofi, autore certamente vicino alla galassia extra-parlamentare.

“Sbatti Bellocchio in sesta pagina” è, per esempio, una solenne stroncatura pubblicata su Lotta Continua nel novembre 1972, anonima ma attribuita ad Adriano Sofri dai curatori dell’antologia di articoli sul cinema della stampa extraparlamentare che proprio dalla recensione ha preso il titolo. A Bellocchio si rimproverava non solo di aver offerto una rappresentazione "decisamente artistica" dei militanti di Lotta Continua, "notevolmente imbecilli" e "sporchi quanto basta", ma anche di aver caratterizzato gli appartenenti alla categoria dei “nemici” come “altrettanto folkloristici e incredibili”. L’anonimo recensore sosteneva che chi ne usciva meglio era proprio il capo redattore Zicari, “Gianmaria Volonté, cinico e baro di una simpatia straordinaria: il migliore”.

Uno spettacolo di contestazione, quindi, che poteva risultare gradita al capitale e alle istituzioni che avrebbe voluto mettere in discussione, “un film”, sempre per citare Lotta Continua, “il cui riferimento con la realtà, quando c’è, è puramente casuale”. Un assunto non del tutto dissimile dalle ipotesi paradossali della celebre recensione di Oreste del Buono di un altro film sempre con Volonté protagonista, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Elio Petri.

In una delle tre ipotesi interpretative avanzate, per del Buono, Petri “evita l’urto con la realtà nazionale, smarrendosi nella confusa evocazione delle avventure di un pazzo”. Come Lotta Continua vedeva nel film di Bellocchio la celebrazione dell’“onnipotenza del Corriere della Sera”, così per del Buono in Indagine siamo di fronte all’“esaltazione della coscienza poliziesca”.

Riflettendo sul personaggio di Volonté, tuttavia, si trovano altre interessanti analogie tra i due film che illuminano la loro indagine critica sul potere. Zicari, come il Dottore assassino di Indagine, confessa la propria colpevolezza alla moglie e al suo editore, che si mostrano, tuttavia, sicuri della bontà del suo comportamento. Sia Zicari che il Dottore riescono a manipolare a piacimento colleghi e superiori, ma sono comunque vulnerabili in quanto un’altra persona (il giovane cronista/lo studente Pace) sa dei loro crimini.

Due caratteristiche, che, unite alle possibilità generiche del “giallo” a cui entrambi i film sono riconducibili, dovrebbero anche farci riflettere sulla capacità del cinema politico italiano di essere popolare. Certamente, Sbatti il mostro in prima pagina ha ancora molto per appassionarci.