Nel 1973 Ingmar Bergman portò sui piccoli schermi delle case svedesi quello che rimane uno dei primi esempi di serialità televisiva d’autore. Il suo Scener ur ett äktenskap ottenne un successo roboante in patria, tanto da trasformarsi in un autentico evento di costume che, inserito nel ben più ampio discorso della rivoluzione sessuale, portò addirittura il numero dei divorzi a raddoppiare nell’anno successivo. L’approvazione fu tale da permettere all’opera di valicare i confini nazionali sotto forma di lungometraggio, in una riduzione che eliminò buona parte dei 281 minuti complessivi in modo da poterla adattare al consueto formato cinematografico.

L’operazione affidata al regista israeliano Hagai Levi consiste nel rispolverare la poco conosciuta opera integrale di Bergman realizzandone una versione contemporanea e americanizzata, ma anche estremamente rispettosa e fedele all’originale. E pare quasi inevitabile che a lanciare questo progetto fosse proprio il network che sulla cosiddetta “quality television” ha costituito il proprio marchio di fabbrica. Scene da un matrimonio è stata presentata integralmente alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia tra gli eventi fuori concorso, a riconferma della volontà dello studio di voler attribuire alle proprie produzioni uno statuto artistico che le avvicini alle storicamente più rinomate opere concepite per la sala. In questo senso non sorprende che i ruoli primari della serie siano stati affidati a due attori che (come d’altronde Liv Ulmann ed Erland Josephson per la versione bergmaniana) proprio con il cinema hanno ottenuto le rispettive affermazioni.

Jessica Chastain e Oscar Isaac ricoprono i ruoli dei coniugi Mira e Jonathan, coppia presentata in un primo momento come felicemente sposata, ma che ben presto inizia a lasciare intravedere una serie di crepe nel loro rapporto destinate a generare delle spaccature insanabili. L’urto decisivo avviene a causa di una gravidanza inattesa da parte di Mira. È questo l’evento che porta parallelamente all’emersione degli elementi conflittuali nei caratteri dei due protagonisti e la sottile scrittura, fatta di esili sfumature e sentimenti taciuti, attraverso cui essi vengono condotti alla collisione. Un’equilibrata rete di dialoghi è il canale attraverso cui scorre ogni piccola alterazione di tono e la recitazione lo strumento che rende possibile tali mutamenti, pertanto non stupisce che la regia di Levi sia posta totalmente al servizio dei suoi interpreti.

Sulle variazioni mimiche e prossemiche di Chastain e Isaac si gioca l’intera drammaturgia di una serie che nelle potentissime performance attoriali trova il suo elemento di massimo splendore. Cinque episodi, quasi totalmente racchiusi tra gli spazi angusti delle mura domestiche, vengono coperti da una manciata di lunghissime scene in cui la continuità spaziotemporale piega la modalità del racconto verso un’inclinazione teatrale, ma la prossimità dello sguardo registico ai corpi dei personaggi permette di instaurare un intimo rapporto che resta un valore aggiunto che solo l’audiovisivo può consentire. L’aderenza emotiva gioca un ruolo preponderante nel mettere in scena una perpetua tenzone che non riguarda solamente il rapporto reciproco tra i due personaggi principali, ma anche quello tra loro stessi, la loro ragione e la loro volontà profonda.

Nel reiterato tentativo di conciliare questa sequela di pulsioni, l’intento è quello di livellare lo schema di attribuzione delle colpe, in un processo in cui la posizione di vittima e carnefice è costantemente rinegoziata. Quindi il ribaltamento del testo di Bergman che qui vede la parte femminile della coppia cedere alla tentazione del tradimento non pesa come un’onta sulla scelta di Mira, la quale viene presentata a sua volta come una vittima dell’asfissiante vincolo matrimoniale e la cui decisione diviene quindi una quasi dovuta reazione di rispetto e amore verso sé stessa. Attraverso le sue scelte calibrate Scene da un matrimonio punta a non scadere in un tono sanzionatorio nei confronti delle parti coinvolte, ma piuttosto ad una limpida ed attuale scansione della spesso sottovalutata moltitudine di elementi che strepitano sotto la patina del matrimonio.

E se la visione del rapporto di coppia come un atto di mediazione tra la propria felicità e quella del partner rimane la principale eredità della versione anni Settanta, questo nuovo adattamento viene arricchito dall’inserimento di temi che consentono di instaurare uno stretto legame con la contemporaneità. Il già citato aspetto dell’aborto che grava sul primo episodio ne è solo il principale esempio, ma ugualmente rilevanti sono questioni come la genitorialità esercitata a distanza mediante le moderne tecnologie oppure la troppo spesso taciuta rilevanza dell’aspetto sessuale nella stabilità della vita coniugale. Tutte quelle sfaccettature insomma che compongono l’istituzione familiare, la quale nel corso del tempo ha certamente perso l’aura sacrale che la rendeva intoccabile, ma che senza dubbio ricopre ancora una posizione preponderante nel contesto sociale della nostra realtà.

Scene da un matrimonio mostra quindi la formazione, la crisi ed il superamento di tale istituzione, mantenendo come fine ultimo quello di raccontare l’amore come uno stato impossibile da risolvere nelle mere convenzioni sociali. La complessità di tale sentimento supera i limiti legali e le costrizioni burocratiche entro cui il matrimonio viene considerato in essere, rendendolo perciò solamente un viatico o talvolta (come nel caso in questione) un ostacolo al perdurare di una relazione amorosa. Ciò che traspare dall’opera di Levi non è quindi ancora una condanna, ma bensì un ridimensionamento del matrimonio in quanto condizione propedeutica alla vita coniugale, in una riflessione tanto semplice nella costruzione quanto potente nella sua carica emotiva.