Che cos'è la giustizia?

È la domanda principale che ci e si pone l'importantissimo documentario di Walter Saxer, produttore di Fitzcarraldo che, rimasto incantato dalla foresta amazzonica, scoprì Sepa, questa prigione a cielo aperto fondata nel 1951 dal governo peruviano, volta alla colonizzazione di 37.000 ettari di giungla nel Perù centrale. All'interno di questo carcere i detenuti sperimentano pratiche agricole, “sono liberi circolare, di portare le proprie famiglie, di ballare e cucinare assieme”, di avere una seconda possibilità e riuscire veramente a recuperare un  rapporto genuino e sano con la vita, nel tentativo di operare una riabilitazione efficace. Il tutto è contrapposto ad una sequenza iniziale le cui immagini mostrano la rivolta di El Sexto nella quale i detenuti rivendicavano  la propria condizione di esseri umani.

Sembra palese che l'intento degli autori non sia quello di sostenere tesi, ma di documentare una realtà alternativa, facendo crescere nello spettatore interrogativi sulle condizioni dei detenuti a Sepa, ma anche in ogni altra parte del mondo. Se da una parte il film testimonia quanto il progetto di Sepa sia innovativo, dall'altra si scontra con il muro dell'arretratezza burocratica e della corruzione di un Paese come il Perù di metà anni '80. Gli abitanti del carcere vennero completamente isolati e dimenticati dal resto del Paese e molti, dopo aver ampiamente scontato la propria pena, rimasero lì a lungo a causa di falle amministrative, ma soprattutto della noncuranza e totale assenza di considerazione verso queste persone, mai realmente considerate tali.

Il documentario fu girato tra il 1985 e il 1987, “dimenticato nel cassetto per oltre  trenta anni, è  rispuntato nel secondo decennio di un nuovo millennio” (grazie al sostegno e alla collaborazione tra Cineteca di Bologna, Cinematheque Suisse e il Ministerio de Cultura del Perù) ma sorprende quanto riesca a sollevare riflessioni attualissime al giorno d'oggi, in tempi di pandemia e rivolte sociali. Questo non fa altro che testimoniare la grandezza del film e l'importanza che tali lavori di recupero e restauro hanno, non solamente all'interno del panorama artistico, ma anche e soprattutto in quello storico e sociale, poiché documenti di questo tipo si ergono ad esempi universali, uscendo da ogni dinamica spazio-temporale, inserendosi perfettamente nei dibattti e nelle riflession attuali, di ogni parte del mondo in cui viviamo.

Durante l'introduzione è intervenuta, tra gli altri, la figlia del regista, Micaela Saxer, rappresentando il padre, bloccato in Perù dalle restrizioni dovute all'emergenza sanitaria. Dopo il film si è potuta vedere una breve intervista al regista e produttore svizzero Walter Saxer, direttamente dall'Amazzonia nella quale riflette sul proprio lavoro,sul cinema e sulle tematiche che gravitano attorno al suo preziosissimo film, ribadendo a gran voce la necessità e l'importanza di concedere e creare una seconda possibilità per queste persone.