Se i melodrammi diretti da John M. Stahl si distinguono per i loro toni pacati e limpidamente composti, le sporadiche incursioni del regista in altri generi non fanno che confermare la sua avversione per un’epica chiassosa e roboante, a vantaggio di una vena elegiaca piuttosto feconda: così, quando nel pieno della Seconda Guerra Mondiale la 20th Century Fox gli commissiona un combat movie di propaganda anti-nazista, Stahl schiva saggiamente l’epopea collettiva, e vira il suo canto patriottico nella parabola individuale di un intellettuale chiamato suo malgrado ad assumere il comando di un manipolo di commilitoni. La guerra e le sue atrocità non entrano mai veramente in campo in questo film di sopravvivenza, incentrato su un gruppo di soldati britannici che, partiti in una missione di ricognizione, subiscono un attacco aereo e si ritrovano dispersi nel deserto nordafricano.

Più ancora che i nazisti, il nemico si materializza nel sole bruciante, nella fame e nella sete, e lo sforzo individuale si concentra in un agognato coming home: per tornare a casa, però, serve affrontare i propri fantasmi di sempre, e vivere la guerra come un vero e proprio rito di passaggio. Sergente immortale, infatti, è prima di tutto un racconto di formazione, e un bromance intergenerazionale tra il giovane Henry Fonda e il suo mentore Thomas Mitchell: l’inasprirsi del conflitto coincide con la traiettoria di crescita personale di un tenente schivo e riservato, il cui passaggio all’età adulta è sancito dalle brutalità della battaglia. Come spesso accade, però, questo film di guerra è anche una storia d’amore, tratteggiata attraverso reiterati flashback di vivida freschezza.

A dire il vero, Stahl sembra decisamente più a suo agio tra i salotti londinesi che tra le dune del deserto libico, ma dimostra ugualmente di saper gestire i tempi tesi e i climax necessari a conferire vigore al côté bellico del film. Non mancano poi scene d’azione abilmente dirette, tra cui spiccano un duello frontale con l’aviazione italiana, cui la stilizzazione delle forme e dei movimenti di macchina conferiscono una certa carica estetica, e una battaglia ad arma da fuoco combattuta nel bel mezzo di una tempesta di sabbia di indubbia efficacia. Più impacciata e macchinosa risulta la resa dei dilemmi interiori del protagonista, demandati a voci over vagamente didascaliche. Stahl si muove qui con l’abilità di un professionista, ma non possiamo fare a meno di pensare che si sia avventurato, come i suoi protagonisti, in un terreno ostile alla sua indole di fine ritrattista psicologico: probabilmente non è per queste scene che ricorderemo Sergente immortale, ma per i brillanti duetti tra Henry Fonda e Maureen O’Hara.