Il cuore che batte in Signature Move è quello della sceneggiatrice/protagonista Fawzia Mirza, canadese di origini pakistane, lesbica, alle spalle due noiosi anni di avvocatura e poi stand-up comedy, televisione, infine cinema. I monologhi del suo show Me, my Mom and Sharmila sulla percezione dell'omosessualità in medio oriente, la satira di The Muslim Trump Documentary in cui si reinventa ipotetica figlia pakistana di Donald Trump, la sua esperienza di vita confluiscono qui in un racconto che tradisce il dato biografico solo lo stretto indispensabile per darle un personaggio in cui proiettarsi. Fawzia "regredisce" da omosessuale dichiarata e febbrile attivista alla se stessa di una fase in cui avere le idee chiare ancora non bastava a superare la paura e uscire dall'armadio: nasce Zaynab. Che si barcamena fra il lavoro (in uno studio legale naturalmente), la storia non più solo di una notte con l'ispano-americana Alma e un'ignara madre tradizionalista che le cerca marito appostata al davanzale con il binocolo come James Stewart in La finestra sul cortile.

A onor del vero il film fatica un po' ad ingranare. La regia di Jennifer Reed (all'esordio nel lungometraggio) è puntuale ma non brilla e lo stesso vale per le qualità strettamente drammaturgiche di uno script schematico, perfino ricattatorio in qualche scena slogan come quella - terrificante - in cui la protagonista, alla domanda della madre se non le vada di passare più tempo in casa con lei, risponde ammiccando allo spettatore “ I prefer to stay..out ”. Ma grazie a una certa tenuta di ritmo non ci si perde, e a patto di limare le aspettative i lati positivi non mancano: indubbio il talento comico, riuscite le caratterizzazioni, straordinario per affiatamento e simpatia istintiva il cast su cui spicca la veterana di 140 film Shabana Azmi. Ha così modo di emergere senza troppo travaglio il vero interesse di Move, che non sta nell'elaborazione artistica ma nei frammenti di realtà meno mediati, nella schiettezza con cui si pratica e insieme si discute una modalità critica costitutivamente ambigua.

Un giorno una cliente dello studio alle strette in fatto di disponibilità economiche propone a Zaynab lezioni di Wrestling come pagamento alternativo. Lei si butta negli allenamenti con la forza della disperazione, sempre di nascosto s'intende. Lotta su un ring, in piena vista e davanti a un pubblico pagante. Ma in calzamaglia e con la maschera.
È un controsenso - la sceneggiatrice riflette su sé stessa - battersi così per la liberazione dei costumi? Parlando da un palcoscenico o in tv, cucendosi quindi addosso una nozione adamantina di identità sessuale e sociale che inevitabilmente finirà per nascondere almeno in parte le sfaccettature? La risposta, positiva ma non senza riserve, è innanzitutto nel percorso del suo alter-ego filmico; poi come ogni risposta cercata sul serio genera un'increspatura sempre più ampia.

Così troviamo la stessa antinomia nel personaggio della madre, trincerata dietro la propria appartenenza nazionale (che in Pakistan ci viene assicurato vivesse in maniera più rilassata) in schiaffo a un paese che non ha voluto accoglierla a braccia aperte; la sua ricerca di un marito per la figlia, mentre sospira davanti alle soap opera e si fa bella pur sapendo che non uscirà di casa, ha tutto dei rimpianti per il proprio passato e niente della bigotteria. C'è Alma, che si porta a letto una ragazza dopo l'altra ma trova sempre motivi per non impegnarsi facendosi scudo della propria indipendenza ("hanno tutte qualcosa che non va.."). E così via.

Nonostante gli scivoloni Signature Move riesce a non demonizzare nessuno. Non cerca l'attacco frontale alla società americana dell'era Trump ma se ne nutre per un discorso più intimo, che scava nelle sue contraddizioni senza chiamarla direttamente in causa e ne scova le ferite in questi personaggi ironici e sulla difensiva; si può davvero dire che “ c'è bellezza nel mistero ”, a patto però  di costringersi a uno sguardo lucido. E se sul ring bisogna trovare una “signature move”, un marchio di fabbrica, che quella mossa sia un bel bacio, non un volantino. Più Bender di così..