Se permettete parliamo di poliamore: introduciamo così il tema di Somos Tr3s parafrasando il titolo del celebre film di Scola del ’64 che indagava sulla condizione della donna nell’Italia del boom. Sono infatti ormai lontani i tempi in cui l’urgenza del discorso di genere era prevalentemente rivolta a riscattare le donne dalla loro posizione di oggetti passivi del desiderio patriarcale e fallocratico, e hanno lasciato il passo a discorsi sempre più complessi, che vanno oltre alla pura definizione del gender di per sé, orientandosi ai possibili intrecci e alle polivalenze che nelle relazioni tra loro i gender possono determinare.
Nel corso di un party, Nacho (Carlos Etchevers), bancario e single, conosce Ana (Flor Dragonetti), una giovane web designer appena divorziata. Nel bel mezzo del loro primo approccio, i due si imbattono in Sebastian (Juan Manuel Martino), il barman della festa, giovane estroverso e assai intraprendente che da subito si mette a flirtare apertamente con entrambi. I tre decidono di trascorrere un singolare week end in triplice compagnia, e dopo tale esperienza sarà Sebastian, conducendo il gioco con fermezza, a proporre agli altri due una relazione stabile a tre.
In una pièce che ha molto di teatrale, a partire dal ridotto numero di interpreti e scene in esterno (le uniche sono di raccordo “climatico” ed ambientale soffermandosi sul traffico della città e sulle condizioni atmosferiche), il regista argentino Marcelo Briem Stamm in questo suo secondo lungometraggio, propone una personale lettura delle relazioni non convenzionali focalizzandosi sul tema del triangolo. Argomento non nuovo per il cinema, che iniziò ad esplorarlo clamorosamente nel 1962 con Jules et Jim (all’epoca vietato ai minori di diciott’anni) per poi tornare sull’argomento in modo più frequente e spregiudicato nei primi anni duemila, prima con un altro autore sudamericano, Alfonso Cuaròn nel 2001 con Y Tu Mamá También e poi con The Dreamers di Bertolucci nel 2003 e ancora nel 2008 con il Woody Allen di Vicky Christina Barcelona.
In uno scenario sociale e mediatico in cui continua ad ampliarsi l’orizzonte con discorsi su tipologie di sessualità fino a pochi anni fa inesplorate o sulle mille direzioni che gli orientamenti sessuali possono assumere (anche grazie a tipologie di esperienze sempre più individuali e sempre meno generalizzabili), il discorso sulla trinità sessuale e sul poliamore sembra essersi definitivamente aperto ad una reale possibilità di concretizzazione. Come appunto dimostra il breve Somos Tr3s, soprattutto nel suo finale positivo ed ottimista in cui pare che essere in tre sia ormai solo una questione di scelta personale, e, a parte qualche scarna battuta qui e là sulle presunte difficoltà dello stare insieme in tre e delle sospettabili resistenze sociali, non ci sia poi molto da temere in una relazione tripla, ma anzi possa esserci molto da guadagnare. Per esempio può essere più facile l’acquisto di una casa unendo le forze economiche di tre stipendi, o addirittura pensare di allevare un bambino.
Resta solo una domanda insomma dopo la visione del film di Stamm, se sia quest’ultimo a “farla facile” o se davvero i tempi siano ormai maturi per una espressione tridimensionale del rapporto di “coppia”, ripulito dalle gelosie logoranti del film di Truffaut e arricchito dall’estensione bisessuale dell’orientamento maschile. Certo è che, se rivolgiamo lo sguardo ad un altro campo di esplorazione del tema, le serie TV, anche qui troveremo un terreno prospero in cui affondare le radici di tale convinzione: è del 2016 la serie televisiva statunitense e canadese You Me Her, poi comprata da Netflix, che ruota intorno alle vicende di una coppia coinvolta in una relazione a tre con una studentessa universitaria. E grazie al successo di pubblico ottenuto da quella che è stata pubblicizzata come la "prima commedia poliromantica" della TV, sono già confermate la quarta e la quinta stagione. Eppure, andando a ritroso, potremmo scovare un germe immaturo di tale traccia tematica persino in una delle serie TV più acclamate degli anni ’80, conosciuta in Italia come Tre cuori in affitto: la sitcom statunitense andò in onda per otto stagioni dal 1977 al 1984 su ABC, divertendo il pubblico con le gag generate dalla falsa omosessualità del protagonista Jack (un vero play boy) all’epoca usata come espediente per rendere più socialmente accettabile il triangolo “velato” della vita comune dei tre protagonisti, due donne e un uomo appunto. Come a dire che al tempo fosse più beneaccetta l’omosessualità rispetto alla poliamorosità.