Nella sezione Seconda Utopia: 1934. L’età dell’oro del cinema sonoro, si sono susseguite nei giorni scorsi due pellicole emblematiche e a loro modo sperimentali, Song About Happiness (M. Donskoj, V. Legosin, 1934) e Accordion (I. Šavcenko, 1934), che coniugano istanze propagandistiche e racconto di formazione, educazione del popolo e intrattenimento, attraverso la musica.
Durante il periodo del secondo quinquennio, si compie in Unione Sovietica il discusso e problematico passaggio al sonoro, che offre alle tradizionali forme e formule di narrazione cinematografica la possibilità di attingere al repertorio classico e tradizionale fatto di cori, canzoni e melodie e di esplorare allo stesso tempo i vasti territori del paese per scoprirne di nuovi. Musica e tradizione sembrano formare il dittico attraverso cui si sviluppano questi film e si esprimono le estetiche dei registi coinvolti, Donskoj, Legosin e Šavcenko. A completare tale dittico, resta naturalmente imprescindibile l’elemento strettamente ideologico e politico, che sembra prendere concretamente voce e corpo. Infine, nel breve volgere dei mesi e anni di questa seconda utopia, sono precise le richieste e netto l’invito rivolto al cinema a raccontare storie immediatamente familiari alla grande e variegata massa di spettatori, in cui i personaggi oltre alla dedizione per il lavoro possano esprimere gioia e felicità. All’interno di questa semplice e brutale concezione di cinema, sono molte e complesse le declinazioni del modello che prende il nome di Realismo Socialista, che dalla letteratura arriva e invade ogni forma d’arte.
In Song About Happiness, la sregolatezza del genio di Mark Donskoj trasforma una ricerca e un film su alcune tradizioni del popolo Mari, minoranza nazionale della zona del Volga, in un sorprendente coming of age in cui l’educazione, scolastica, politica e musicale, diviene mezzo e strumento di realizzazione di sé, della propria cultura e del proprio paese. Kavyrlja (Michail Viktorov) è un giovane che come altri lavora lungo il fiume, trasportando tronchi, ma a differenza dei coetanei, amici e colleghi ha un dono raro e una predisposizione innata per la musica: con un rudimentale flauto intona sovente melodie capaci di rallegrare, commuovere o consolare la piccola comunità di lavoratori che si raccoglie intorno al fiume. Durante una delle molte sere trascorse insieme, accanto al braciere di un fuoco, Kavyrlja si lascia coinvolgere in una piccola rissa e, dopo una colluttazione, il taglialegna Lebedev (Ignatij Moskvin) finisce in acqua e viene inghiottito dal fiume. Malgrado sia innamorato di Anuk (Janina Žejmo), Kavyrlja, sentendosi colpevole, fugge lontano, vagabondando per i mercati della città; la sua irrequietezza e ingenuità lo portano infine alla colonia penale, dove il responsabile del reparto (Boris Čirkov) in cui è rinchiuso lo incoraggia e aiuta a imparare a leggere e a scrivere prima e poi a studiare musica. Attraverso l’educazione, la scuola, il partito e la composizione della musica, Kavyrlja conosce e diviene se stesso, recuperando l’identità perduta e abbandonata nel villaggio sul Volga.
Il racconto della parabola esistenziale di Kavyrlja sottolinea la necessità di ancorarsi alle proprie tradizioni (il motivo suonato dal flauto riecheggia melodie popolari) per adempiere al meglio ai doveri richiesti al buon cittadino e allo stesso tempo per costruire una storia comune, condivisa e sfaccettata. Il successo raggiunto da Kavyrlja una volta diventato un famoso musicista non raggiungerebbe infatti una reale ricaduta esistenziale se si limitasse al mero esercizio di stile, bensì acquista forze e linfa vitale proprio nella condivisione e nell’insegnamento che il giovane, tornando al suo villaggio, può tramandare, trasformando l’unione della tradizione e la speranza del futuro in una esperienza di vita reale e concreta. La predisposizione e l’uso del materiale narrativo e il lavoro sulle immagini fatto da Donskoj e Legosin enfatizzano la presenza del flauto, lo strumento musicale intorno a cui si sviluppano i personaggi stessi. A partire da sequenze apparentemente neutre e calibrate, la potenza della metafora musicale esplode in brevi attimi, connotati da virtuosismi della macchina da presa e da accennate sperimentazioni visive.
Simile eppure differente, Accordion di Igor’ Šavcenko rappresenta la nascita di un nuovo genere di commedia, musicale appunto, che prelude ai musical voluti da Stalin di ambientazione rurale. Il regista, avanguardista e sperimentale, formatosi al Teatro della Gioventù Operaia di Baku, sceglie ampi spazi aperti e sconfinate distese di grano, ripresi in campo lungo e lunghissimo, per seguire la vicenda del giovane Timoška (Pëtr Savin), abile fisarmonicista, lavoratore instancabile, eletto segretario del Komsomol del villaggio. Ogni gesto, dialogo e azione diventano occasione di energici “numeri” di canto e danza, trasformando il lavoro nei campi, gli scherzi fra giovani e le riunioni al Komsomol in sequenze di intrattenimento, che Šavcenko riprende ricorrendo a un uso espressionista della macchina da presa e a un vitale sfruttamento dei movimenti della macchina stessa.
La comunità rurale si raccoglie, durante e dopo il lavoro, intorno alla fisarmonica di Timoška, simile al flauto di Kavyrlja, simbolo di memorie condivise e potente mezzo di aggregazione. L’ascesa al potere, la promozione di Timoška a segretario, spinge il giovane ad abbandonare, nascondere e negare la presenza della fisarmonica, fantasticando persino sulla richiesta ufficiale di eliminare dall’intero paese lo strumento. Soltanto dopo l’arrivo di uno straniero, un kulako nemico del popolo, cantore e improvvido suonatore di fisarmonica, Timoška comprende il valore dello strumento, riconoscendone l’identità “russa”, cogliendo la valenza mnestica di un oggetto semplice e familiare, in grado di instaurare un rapporto dialettico fra l’individuo e la comunità, fra il popolo e il potere. La vicenda di Timoška e del suo villaggio rurale si conclude felicemente, mentre il film si abbandona a un numero di “polka russa”, che celebra la fisarmonica come emblema e depositaria di tradizioni culturali e sociali indispensabili alla costruzione del futuro.