Dopo i primi due film, decisamente sfortunati al botteghino, Park Chan-wook ha la possibilità di lavorare ad un progetto estremamente ambizioso, che si rivelerà poi il suo primo grosso successo commerciale in patria: Joint Security Area. All’epoca il film più costoso mai realizzato in Corea, nonché il più remunerativo, è anche quello in cui spicca meno l’identità registica di Park.

Come pure il recentissimo Decision to Leave, Joint Security Area è un ottimo punto di partenza per chi voglia approcciarsi ex novo alla filmografia dell’autore. Ambientato nell’area di sicurezza congiunta, cioè la porzione di confine demilitarizzato fra le due Coree in cui i rispettivi eserciti si fronteggiano, in questo giallo politico sono le interpretazioni degli attori e l’intreccio a farla da padrone. L’omicidio di due soldati nordcoreani innesca un’indagine su entrambi i lati della linea di demarcazione fra i due stati, nonché una riflessione politica, storica e umanistica sulla stessa divisione della penisola asiatica.

Mentre film come Il prigioniero coreano postulano l’impossibilità di una riunificazione per l’avversa volontà dei coreani stessi, in JSA si assiste a un timido tentativo di fratellanza fine a sé stesso che rimane soffocato nelle tenaglie di un equilibrio politico troppo fragile, in cui entrambe le parti in causa preferiscono nascondere la verità che alterare lo status quo. Tra i limiti artistici dell’opera il maggiore è non valorizzare sufficientemente il rischio che comporta l’amicizia fra soldati del sud e del nord.

La scelta degli sceneggiatori, tra cui lo stesso Park, è piuttosto ridicolizzare i simboli della divisione fra i due stati, in particolare la linea di demarcazione. Memorabili in questo senso la battuta del sergente nordcoreano Oh (interpretato dal grande Song Kang-ho) che redarguisce scherzosamente un soldato del sud la cui ombra scavalca il confine, o la gara di sputi da un lato all’altro dello stesso.

Nonostante qualche acerbità, si percepisce già la mano di Park nel suggestivo incipit notturno, nell’evocativo dettaglio degli stivali dei soldati sudcoreani che travalicano il confine per la prima volta o nell’amara ultima inquadratura, un attimo rubato al tempo in cui due popoli sembrano uno.