Mademoiselle segna il ritorno di Park Chan-wook in Corea dopo la realizzazione di Stoker, coproduzione USA/UK in lingua inglese. Ci sono varie somiglianze fra le due opere, benché i loro punti di arrivo siano diametralmente opposti. Entrambi sono thriller psicologici al femminile, in cui l’ingresso di un personaggio esterno in un contesto famigliare disfunzionale funge da innesco per la crescita emotiva della protagonista.

L’intersezione fra sessualità e violenza è sempre un elemento cardine nella poetica dell’autore coreano, e in Stoker assumiamo il punto di vista di un personaggio che si scopre inebriata dall’eroticità della violenza. In Mademoiselle, al contrario, le protagoniste trovano nella reciproca attrazione una via di fuga da due mondi governati dalla prepotenza maschile, in cui la femminilità viene imbrigliata e oppressa in reti di inganni e sfruttamenti.

L’elemento erotico è predominante, tanto quello fantasmatico dello zio pornomane quanto quello scoperto ed esperito dalla repressa nipote, e Park si rivela narrativamente abile nel criticare la sessualità sadica di un sistema radicalmente patriarcale senza scadere nella sessuofobia. La stessa macchina da presa si muove sinuosamente, con morbide carrellate che sembrano accarezzare le superfici e i soggetti. Anche la splendida fotografia ad opera di Chung Chung-hoon, fidato collaboratore di Park sin dai tempi di Old Boy, accentua l’intensità dei colori valorizzandone la materialità sensibile più che donandogli un’aura misteriosa, come invece sarebbe stato lecito aspettarsi in un film così pieno di intrighi e colpi di scena.

Nella vicenda dell’ereditiera Hideko e soprattutto della truffatrice Sook-hee, interpretate rispettivamente dalla bravissima Kim Min-hee e dall’esordiente Kim Tae-ri, riecheggia la sottomissione della Corea, occupata dai giapponesi all’epoca in cui il film si svolge. Prepotenza e dominazione sono impersonati dallo zio di Hideko, il ricco collaborazionista Kouzuki, e dalla sua opulente residenza, costruita e arredata ibridando lo stile inglese e quello giapponese.

È in questo luogo anaffettivo e stravagante che si svolge la maggior parte dell’azione, dando modo al regista di sperimentare inquadrature dal taglio innaturale e obbiettivi deformanti che amplificano la sensazione disagiante che la magione evoca. Mademoiselle è una summa della poetica e dello stile di Park, nonché il suo lavoro più ottimista.

Nonostante si respiri incessantemente tensione, dolore e umiliazione, quest’opera è in fin dei conti un inno all’amore e alla libertà, firmata da uno dei più grandi cineasti della storia.