Secondo e più celebre titolo della cosiddetta “trilogia della vendetta”, Old Boy è il primo successo di Park Chan-wook presso il pubblico occidentale, nonché una delle sue opere più potenti. Partendo dal modesto manga omonimo, il tema della vendetta, e ancor più della sua futilità, viene arricchito di riferimenti alla tragedia classica greca più o meno espliciti (il nome del protagonista, Oh Dae-su, somiglia molto a Oedipus, Edipo).

Complice la cupa e claustrofobica fotografia di Chung Chung-hoon, qui alla sua prima collaborazione col regista, si percepisce davvero per tutta la durata del film il peso di una tragicità inevitabile, che mai potrebbe portare a nulla di positivo per i personaggi coinvolti. «Sorridi e il mondo sorriderà con te, piangi e piangerai da solo» è difatti una delle frasi ricorrenti, corollario del cinismo umano, dove solidarietà e speranza non trovano posto.

Old Boy è un film crudo e disturbante in cui i personaggi, messi dinnanzi alle proprie colpe, non trovano altra catarsi che uccidere, torturare, mutilarsi o tuttalpiù cercare di dimenticare. Confrontato con gli altri due capitoli della trilogia, Old Boy risulta più intenso e meno rigoroso del precedente Mr. Vendetta, ma senza toccare le vette di divertito barocchismo stilistico del successivo Lady Vendetta.

La grandezza narrativa e registica di questo film risiede proprio nel riuscire a rimanere costantemente sopra le righe senza sfociare nel parossismo, con quelle reiterate e calcolate esagerazioni a cui il miglior cinema dell’estremo oriente ci ha abituati. Basta confrontare Old Boy con il pur dignitoso remake diretto da Spike Lee per notare l’impoverimento visivo – e in questo caso contenutistico – che si ottiene spostando questi soggetti troppo a ovest.

Spiazzante è anche il ritmo mai frenetico adottato da Park, che tira il freno proprio nei momenti in cui le azioni si concatenano maggiormente, utilizzando la pacata voce narrante del protagonista o intervallando con scene in cui i personaggi sono irrealisticamente fermi, come nei minuti che precedono e succedono la celebre carrellata di combattimento.

Basterebbero il tesissimo confronto fra Dae-su e la sua nemesi, scandito dai continui ribaltamenti di prospettiva, e il bellissimo finale votato all’ambiguità, ma in nessun caso positivo, per spiegare perché Old Boy rimane uno dei più grandi capolavori del secolo.