Céline Sciamma è tra le più grandi narratrici contemporanee delle età di passaggio, capace di raccontare le prese di coscienza dell’adolescenza e le scoperte dell’infanzia come pochi altri. Da Tomboy a La mia vita da zucchina, passando per la sceneggiatura del Téchiné di Quando hai 17 anni, la regista francese ha saputo ricostruire con delicatezza l’universo di ragazzi e bambini, senza nasconderne complessità e lati oscuri. Petite Maman, il nuovo capitolo di questo viaggio nell’età acerba presentato ad Alice nella città durante la Festa del cinema di Roma, è un piccolo miracolo di economia espressiva e narrativa, dove non c’è un’inquadratura o una parola di troppo, né una scena che non sia strettamente necessaria.

Basterebbe l’inizio a esemplificare la precisione chirurgica della mise en scène: una bambina fa il giro di una casa di riposo salutando le anziane ospiti, fino a raggiungere la mamma in una stanza ormai vuota. Un saluto non dato, un commiato difficile e mancato, che apre a dubbi, domande, rimpianti. Dopo la morte della nonna la piccola Nelly accompagnerà la madre nella casa della sua infanzia e nel bosco che la circonda incontrerà una misteriosa bambina che diventerà sua amica.

Dire di più sarebbe un vero peccato, sia perché ci sembrerebbe di rovinare tanta mirabile semplicità con parole inutili, sia perché si correrebbe il rischio di dire troppo, come parlassimo di un romanzo giallo. D’altronde la protagonista cerca proprio di risolvere un mistero, ed è come se Sciamma avesse applicato l’essenzialità e l’asciuttezza di un thriller hitchcockiano tipo Il club dei 39 a una storia di emozioni e sensazioni.

Quella di Nelly è l’indagine di una figlia nel mondo e nell’infanzia della madre, alla ricerca di risposte sulle scelte e sui silenzi del presente. Nelle intenzioni dell’autrice è “un viaggio nel tempo senza una macchina del tempo”, una versione intimista di Ritorno al futuro, piena di tenerezza ma mai sdolcinata, capace di regalare ai suoi personaggi uno spessore e una complessità inversamente proporzionali ai pochi tratti e alle poche parole che usa per raccontarli. Tutto contribuisce, dai dettagli della casa della nonna ai gesti di genitori e figli, dagli oggetti del passato che dialogano con il presente a un bosco che, come nei migliori “c’era una volta” diventa luogo magico di sospensione della realtà.

Un film piccolo, di budget e di durata, ma gigantesco come la sua protagonista, coraggiosa e determinata eroina di una splendida fiaba concreta e quotidiana che trasforma l’elaborazione del lutto in un (im)possibile incontro tra generazioni.