I biopic sono un genere difficile, in cui si rischia sempre di incorrere nella temibile “impepata di cozze”, cioè il sistema degli sceneggiatori di “Gli occhi del cuore” di Boris per dire un po’ tutto senza dire niente; nel caso delle biografie significa partire dalla nascita e arrivare alla tomba, con in mezzo l’apice del successo, la decadenza, la redenzione o la fine ignominiosa. E se è ancora più difficile fare buoni film sugli artisti, sugli attori è peggio: perché devi spostare con fatica, e a tuo rischio e pericolo, i personaggi che hanno interpretato, le maschere con cui si sono presentati e fatti amare dal pubblico adorante, per rivelare quello che c’è dietro. Che non è sempre all’altezza delle aspettative. Stanlio & Ollio, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, aveva tutti questi problemi da affrontare, con in più un’ulteriore difficoltà. Perché quelli che si appresta a raccontare non sono due attori qualsiasi ma due icone inossidabili dell’universo di celluloide. Come se a teatro qualcuno volesse scoprire l’uomo che si nasconde dietro il naso adunco di Pulcinella.

Non a caso del progetto si parlava già negli anni ‘50, ma non si era mai concretizzato. Scegliendo di concentrarsi su un momento preciso della vita dei protagonisti, ed evitando flashback e ricordi (escluso un prologo, fondamentale, racchiuso quasi tutto in un lungo piano sequenza sui titoli di testa e che funge anche da “carrellata” sulla Hollywood anni ‘30) il film riesce, grazie a una sceneggiatura di ferro scritta da Jeff Pope (che insieme a Steve Coogan, che qui fa Stanlio, aveva vinto il premio per la miglior sceneggiatura a Venezia con Philomena di Stephen Frears), a superare quasi sempre le tante insidie di partenza, trovando un equilibrio tra dimensione pubblica e privata dei protagonisti.

Siamo nell’Inghilterra del 1953. Stan Laurel e Oliver Hardy si riuniscono per una tournée in giro per il paese. Sono lontani gli anni d’oro del loro successo, e i motivi di questa reunion sono più che altro economici. Entrambi hanno uno stuolo di ex mogli da mantenere e pochi fondi per farlo, a causa di contratti capestro che gli hanno fatto aver solo le briciole dei grandi incassi dei loro film. Grazie alle immutate capacità comiche della grande coppia, il tour, partito in sordina, si trasformerà in un grande successo. Sarà anche l’occasione per i due di ripensare il loro rapporto, affrontando le amarezze e le incomprensioni del passato, le fragilità e le paure del presente.

A fare la differenza in questo Stanlio & Ollio, più che la regia pur corretta ed equilibrata di Jon S. Baird, è l’incredibile performance dei due attori protagonisti: Steve Coogan e John C. Reilly producono un miracolo di abilità recitativa, riuscendo in un’impresa che sembrava impossibile. Non si limitano ad imitare Laurel e Hardy ma vanno più affondo, trovando un equilibrio perfetto tra aderenza fisica e introspezione psicologica. Divertenti fino alle lacrime, Coogan e Reilly sfoggiano una chimica perfetta e ricreano in scena i tempi comici che hanno reso immortali le gag del duo. Non sono da meno nell’affrontare il privato dei loro personaggi, portando qualcosa delle maschere di Stanlio e Ollio nella vita quotidiana di Stan e Oliver, fondendo personaggi immaginari e persone reali in maniera inscindibile. Gli fanno da controparte le rispettive mogli (Nina Arianda e Shirley Henderson, che non soccombono all’invadenza dei “loro” uomini), versioni reali e più umane delle tante consorti terribili che avevano angariato la coppia sullo schermo.

Quello che viene fuori è un ritratto convincente e tutt’altro che bidimensionale di questi uomini diversissimi: completamente dedito al lavoro e alla scrittura Stan, romantico appassionato del golf e della buona tavola Oliver. Due opposti che la convivenza artistica ha trasformato in veri e propri compagni di una vita. Ognuno è stato la spalla e la stampella dell’altro, e solo alla fine hanno trovano la forza per capire quanto importante sia stato il percorso fatto insieme. Nella vita, come davanti alla macchina da presa.