"Non è soltanto come noi costruiamo la nostra identità o come la troviamo; ma per chi la costruiamo"

Aleem Khan, regista

Qualcuno (sbagliando a parere di chi scrive) potrebbe chiedersi: ancora un film sulla questione dell’inclusività? O sulla tematica anglo-islamica? Eppure, a prima vista, è questa l’impressione che lascia After Love, esordio folgorante dell’ anglo-pakistano Aleem Khan. Dopo aver fatto man bassa di premi con il suo terzo cortometraggio, Three Brothers (del 2014 e che ha diversi punti in comune con After Love, se non fosse per la struttura drammaturgica), passando al lungometraggio il regista ottiene ben cinque vittorie ai British Independent Film Award come miglior film indipendente, regia, sceneggiatura, attrice protagonista e attore non protagonista. Perché se apparentemente la storia di una donna inglese convertita all’Islam per amore che scopre, alla morte del marito, di essere stata tradita con una donna francese, è un punto di partenza narrativo già di forte impatto, il film lentamente assume i connotati di una vera a propria tragedia (greca) a tre, di inedita e potente drammaticità.

La tripartizione dal punto di vista semantico è evidente non solo nei tre atti che compongono gli eventi, ma anche dai tre protagonisti principali che la animano e addirittura dal punto di vista linguistico (il parlato infatti è inglese, francese e arabo).  Ma la struttura si inclina continuamente, è scricchiolante, proprio come le assi del pavimento della casa dell’amante, come il soffitto che si spacca sulla testa della protagonista. E la tripartizione diventa quindi quasi a quattro, con la figura del marito/padre reincarnato in quella del figlio. Ciò che sorprende e convince ancora di più, però, è il preciso lavoro registico e di scrittura che riesce a innescare molteplici meccanismi metaforici di estremo interesse.

Dal punto di vista della sceneggiatura, il lavoro (come i precedenti corti) risente moltissimo della componente biografica: la madre del regista, infatti, proprio come la protagonista del film, è una musulmana bianca, convertitasi dopo il matrimonio. Già il titolo, però, After Love, può moltiplicarsi in diversi significati: può essere inteso sia dal punto di vista temporale, come “dopo” e sia dal punto di vista spaziale, inteso come “oltre”. E la stessa parola ‘love’ può essere interpretata non solo come amore tra due persone, ma anche come la stessa entità suprema, in questo caso Allah/Dio. Inclusività si diceva: nel film di Khan oltre alla componente religiosa, gioca un ruolo fondamentale anche quella sessuale. Il giovane protagonista (sorta di traslato del regista) non solo ha un difficile rapporto con il padre, ma è anche chiaramente omosessuale. Tutte queste componenti cozzano completamente con la questione islamica.

È come se il regista avesse deciso di piazzare (il fantasma di) un uomo, che altro non è che lo stesso Islam, di fronte a uno specchio (le superfici specchiate, tra l’altro, compaiono spessissimo, proprio per il significato di ambiguità che richiamano). Da un lato la tradizione, con la musica popolare, la preghiera, le feste religiose, la moglie dalle forme generose e legata ai lavori domestici; dall’altro il tradimento, la libertà sessuale, quella degli usi e dei costumi (ad es. bere tranquillamente birra), avere un figlio fuori dal matrimonio ufficiale con una donna che lavora e che, anche fisicamente (bionda e magra), è l’esatto opposto della moglie “ufficiale”. Questo “doppio”, dal punto di vista registico, assume una rappresentazione diretta nella raffigurazione della protagonista, una Joanna Scanlan in stato di assoluta grazia.

Fin dall’iniziale, straordinario, piano sequenza è lei a dominare il quadro e lo farà per quasi tutto il film, addirittura dividendolo o invadendolo geometricamente, come una sorta di architettura vivente e visiva dell’immagine. Si pensi al momento iniziale del film, dove lei, totalmente vestita di bianco, mastodontica, si erge come una sorta di regina del dolore tra donne minute vestite di nero. L’arrivo degli uomini è emblematico: il loro volto non verrà mostrato, come a formularne una sorta di generica passività. Il contrasto sul colore e sul bianco/nero è un’altra componente fondamentale del film a cui lavora Alexander Dynan (noto ai più per essere il direttore della fotografia degli ultimi tre film di Paul Schrader): creando delle vere e proprie narrazioni cromatiche e rimandi all’arte del Cinquecento, eleggendo il bianco come vero e proprio veicolo di significatività.

Bianco è il vestito della protagonista durante la veglia, bianche sono le scogliere di Dover dalle quali tutto comincia e finisce, bianche e immacolate sono le pareti della casa della protagonista, in contrasto con quelle luride e in decadimento della controparte femminile. Dall’altro lato è tutto confusione, polvere, caos. La luce del faro della città dove vive l’amante del defunto marito punta la propria luce lontano, ma non lì, come se tutto fosse avvolto da una perenne coltre di silenzi e paure. C’è un momento fondamentale in tal senso: Mary si sta allontanando forse per la prima volta da Dover. Mentre è sul battello un costone di roccia si sgretola. La roccia sulla quale si posava la famiglia, lei, sta crollando piano piano fino ad una sorta di sedimentazione/rassegnazione, che si desume dal finale, quando i tre protagonisti: lei, l’amante e il figlio si ritrovano nel punto esatto dove la roccia è crollata.

Questa tensione narrativa è palpabile fin da quando la protagonista scopre il tradimento: non esplode mai, non ha mai uno smacco di rabbia, ma solo crisi di pianto, come un potente meccanismo a orologeria che non fa che dare potenza alla recitazione della Scanlan. In questo senso, inoltre il rapporto con l’acqua è fondamentale e parte integrante del cammino di purificazione della protagonista e della triade drammaturgica di base. Infatti Mary (nome di matrice biblica e fonte della vita) decide, una volta compreso l’estremo degrado in cui era scivolato il marito (che ha chiamato, tra l’altro, il figlio illegittimo Salomon), di immergersi nelle acque, (ri)battenzandosi. E ancora è il vapore dell’acqua messa in ebollizione che diventa suono semantico creatore di raccordi di senso temporali ed è infine l’acqua che si è ritirata dalla scogliera franata che chiude il cerchio: l’acqua come elemento di morte e rinascita.

Un esordio sorprendente per un regista da tenere d’occhio.