Emilio Ghione è Za la Mort, Za la Mort è Emilio Ghione. Non è un’affermazione impropria, se si pensa che per dieci anni dal 1914 al 1924, l’attore torinese, che nel 1909 debuttò nel cinematografo come cascatore presso l’Aquila-Films comparendo poi in produzioni targate Celio-Film, si lega indissolubilmente al suo alter-ego. Da Nelly la gigolette (Caesar-Film, 1914) a Ultimissime della notte (Alba-Film, 1924), Ghione incarna l’eroe dal viso scavato, alto e smilzo, contraddistinto da una maschera inquietante, quasi scheletrica.
Il nome Za la Mort ha un sapore esotico, possiede quella “francesità” di un’epoca lontana, legata al paesaggio fumoso di una Parigi post-Belle Èpoque, una dimensione alternativa della Ville Lumière, sotterranea, illuminata dalla luce tremolante di una lampada ad olio e accompagnata dalle note di un pianoforte scordato. Le taverne degli apaches (personaggi malavitosi affiancati da una gigolette, la danzatrice di balli degenerati) sono il covo delle loro malefatte e di lotte interne tra bande. Proprio i racconti che popolano la letteratura d’appendice e i film polizieschi di produzione francese fungono da ispirazione per Ghione, che plasma così il personaggio di Za la Mort. L’effettiva origine del nome è ancora ambigua, ma la teoria più accreditata rimane quella ipotizzata da Monica Dall’Asta, per cui Ghione abbia probabilmente fatto riferimento al grido di battaglia “Z à la mort! Z à la vie!” della Banda degli Z capitanata da Zigomar, l’antieroe della saga diretta da Victorin-Hippolyte Jasset.
Così inizia il ciclo degli Za, sedici produzioni tra lungometraggi e serial, tutti diretti dallo stesso Ghione, di cui solo sei parzialmente sopravvissuti. Al suo fianco vi è sempre la fedele Za la Vie (interpretata da Calliope “Kally” Sambucini, compagna di vita di Ghione), apparsa per la prima volta in Za la Mort (Caesar-Film, 1915), secondo lungometraggio dopo Nelly la gigolette dove Francesca Bertini, secondo i soggetti dell’epoca, è un’assassina seduttrice, vendicativa e infedele. Sia Za la Vie che Za la Mort subiscono un andamento narrativo non lineare nel corso dei sedici film. Ad esempio in Anime buie (Tiber-Film 1916), Kally Sambucini è accreditata come Zerlina e viene assassinata dalla rivale Casque d’Or. Successivamente la si ritrova viva e vegeta ne Il numero 121 (Tiber-Film, 1917). Oppure il Za la Mort assassino di Sua Eccellenza la Morte (Itala-Film, 1919) che torna allo status di apache giustiziere contro dei banditi (Un frak e un apache, De Giglio-Film, 1923). Una certa “disinvoltura narrativa” e una rottura degli schemi elementari della serialità, dovute molto probabilmente dal sempre più frequente calo di inventiva, al riciclaggio di cliché e al bisogno costante di mantenere comunque costante il successo di Za la Mort.
La carriera di Ghione, intervallata da eccessi e sperperi di denaro che lo porteranno negli ultimi anni ad una condizione di miseria e povertà, è inscritta in quell’aura divistica tipica degli anni Dieci e Venti del Novecento. Nonostante la critica dell’epoca percepisca una certa stanchezza nel vestire i panni di Za la Mort, stroncando senza pietà gli ultimi Za, Ghione continua a collaborare con altri registi come Amleto Palermi (La via del peccato, 1925) o Carmine Gallone (La cavalcata ardente, 1925), fondando addirittura una propria casa di produzione di cui si hanno poche notizie, la Ghione-Film. Da non dimenticare la sua parentesi tedesca nel biennio 1922-24 con Zalamort. Der Traum der Zalavie (F.A.J. National Berlin, 1924), anni che coincidono con la “fuga di massa” di cineasti, attori e direttori di scena a causa della grande crisi produttiva che pone fine al periodo aureo che il cinema muto aveva conosciuto negli anni Dieci. Tornato rapidamente in Italia a causa dei primi problemi di salute, si avvicina l’epilogo della carriera di Emilio Ghione: gira l’ultimo film da regista, La casa errante (Caesar-Film/UCI, 1925), interrotto improvvisamente nel 1927, compare in ruoli minori. Suo malgrado, si vede costretto a far apparire il suo Za la Mort per una breve tournée nei maggiori teatri italiani. Nel 1928 iniziano ad essere pubblicate, a puntate, le pagine della sua autobiografia Memorie e confessioni, sospese bruscamente l’anno stesso.
Emilio Ghione muore a Roma nel gennaio del 1930 in un letto dell’ospedale, circondato da pochi affetti, non prima di aver rivelato a bassa voce la trama del suo ultimo film: “È inutile continuare. Il centrotreesimo è quello che finisce adesso”. Per maggiori approfondimenti su Emilio Ghione, si vedano le seguenti monografie: Denis Lotti (Emilio Ghione, l’ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, Bologna, Cineteca di Bologna, 2008); Vittorio Martinelli (Za la Mort. Ritratto di Emilio Ghione, Bologna, Cineteca di Bologna, 2007).