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Storia e leggenda di Za la Mort

Il nome Za la Mort ha un sapore esotico, possiede quella “francesità” di un’epoca lontana, legata al paesaggio fumoso di una Parigi post-Belle Èpoque, una dimensione alternativa della Ville Lumière, sotterranea, illuminata dalla luce tremolante di una lampada ad olio e accompagnata dalle note di un pianoforte scordato. Le taverne degli apaches (personaggi malavitosi affiancati da una gigolette, la danzatrice di balli degenerati) sono il covo delle loro malefatte e di lotte interne tra bande. Proprio i racconti che popolano la letteratura d’appendice e i film polizieschi di produzione francese fungono da ispirazione per Ghione, che plasma così il personaggio di Za la Mort.

Intervista a Denis Lotti

In occasione delle proiezioni al Cantiere Modernissimo degli otto episodi del serial I topi grigi (1918) di Emilio Ghione, abbiamo pensato di fare qualche domanda a Denis Lotti, docente di Studi sull’attore nel cinema all’Università di Padova e Caratteri del cinema muto presso l’Università degli Studi di Udine. Lotti ha dedicato le sue ricerche a Emilio Ghione, pubblicando nel 2008 la monografia Emilio Ghione, L’ultimo apache. Vita e film di un divo italiano. Ha inoltre concretizzato i suoi studi sul divismo maschile in Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano (2016). È, infine, protagonista del documentario Rai Sperduti nel buio (2014).

“I topi grigi”: un miracoloso viaggio nel passato

Nel giugno di cento anni fa I topi grigi di Emilio Ghione invasero il labirintico e sotterraneo Cinema Modernissimo di Bologna: oggi, come quel giugno del 1919, ritornano sullo schermo riportati all’antico splendore dal restauro, facendo ancora una volta del Modernissimo la loro “tana” prediletta. Gli otto episodi, distribuiti in varie proiezioni giornaliere che coprono l’intera durata del Cinema Ritrovato, fanno il verso al binge watching contemporaneo, che da solitario diventa comunitario e condiviso e che, per questo, porta con sé una più imponente carica emotiva: ridere all’unisono, tenere il fiato sospeso. L’esperienza è democratica, tutti sono coinvolti allo stesso modo. La pellicola, nonostante i  – circa –  1200 metri mancanti,  rivela un fascino antico anche grazie alla chiarezza espressiva che si rende comprensibile a tutti senza l’uso delle parole. E rende noto al pubblico che nel racconto visivo, per capirsi, a volte il parlato è superfluo. La costruzione stilistica delle immagini è inoltre sancita dai chiaroscuri taglienti che restituiscono figure caricaturali e volti infossati: indimenticabile Ghione sullo schermo, emaciato, spigoloso e magnetico. I topi grigi non esisterebbero senza di lui.