Ci eravamo lasciati qui. Circa un anno fa, proprio su queste pagine, provavano a tirare le somme della strada intrapresa, relativamente alla tecnica animata, dalla più grande casa di produzione al mondo. Riflettevamo su come Encanto fosse qualcosa di più di un “semplice” buon film, provando a far notare come si trattasse di un progetto decisamente complesso, maturo e funzionale nel provare a fare sintesi e portare a maturazione alcune traiettorie insite nella poliedrica vetrina Disney degli anni a noi più contemporanei.

Così, se quel lungometraggio cercava (con successo) di proporsi come un punto fermo, uno spazio teorico nel quale circoscrivere sessanta (l’anniversario era tondo) progetti presentati nell’ormai celebre etichetta dei “classici”, Strange World – Un mondo misterioso (da qui in avanti solo Strange World) è il primo film di quello che teoricamente potrebbe essere un nuovo ciclo, un rilancio covato a lungo e presentato al grande pubblico proprio dopo aver ragionato e tirato le somme sul passato che lo precede.

A guardare bene, quindi, potrebbe non essere un caso che se Encanto era ambientato unicamente in una dimora magica, Strange World conduce invece i suoi personaggi (e il pubblico con loro) verso terre inesplorate lontanissime da casa. Così come non è una coincidenza che se nel film del 2021 la colonna sonora era abbondantemente popolata da canzoni, in questo nuovo lavoro non ve ne sia traccia alcuna. L’idea portata avanti da Disney negli ultimi anni, sotto la guida della direttrice creativa Jennifer Lee, è quella di provare ad aggiornare i fasti del Rinascimento degli anni Novanta coadiuvato da Katzenberg. Ovviamente cercando di aggiornarlo ai giorni più contemporanei.

In tal senso, i progetti presentati al grande pubblico sono stati in alcuni casi ricalcati sulla formula vincente di quei lunghi (Oceania, i due capitoli di Frozen), in altri traghettati verso orizzonti diversi in grado di far risaltare alcune tematiche ed estetiche più recenti (Zootropolis, Big Hero 6, Raya e l’ultimo drago o la saga di Ralph spaccatutto). Il binomio veniva portato a perfetto compimento grazie alla sintesi di Encanto ma tutto ciò che è stato seminato sembra non venire minimamente raccolto ora da Strange World.

Quello diretto da Don Hall e Qui Nguyen è infatti un film che si presenta con così abbondante ritardo sulla tabella di marcia da sembrare vecchio e quindi risultare un notevole passo indietro rispetto il percorso intrapreso dalla casa di produzione. Non tanto perché si tratta di un progetto poco riuscito o incapace di intrattenere (la soglia minima della resa viene garantita, ma non è ciò che si richiede a un’azienda come Disney), quanto proprio per l’impotenza creativa che trapela tra le righe di una sceneggiatura che più ferrea e limitante non si può.

Mentre scorrono i minuti, sembra di sentire il rumore delle pagine del copione che vengono girate dai registi. Tutto è al posto giusto, nulla vibra di emozione, di genuinità. Ogni singola svolta narrativa è ampiamente prevedibile, già vista e quel che convince ancora meno è la poca creatività e fantasia che vengono adoperate per dare vita al fantomatico “strano mondo” del titolo. Il viaggio intrapreso ai confini dell’universo non incanta, non abbaglia. Strange World gioca sulla difensiva, sull’usato sicuro, consapevole di poter comunque vivere di rendita e sedersi sugli allori di un momento produttivamente importante per lo studio (al di là della resa qualitativa ed economica dei suoi progetti).

Il solco tracciato da Disney si percepisce nelle svolte finali del racconto (interessante, anche se non certo unica nel suo genere, la soluzione moraleggiante legata alla relazione tra uomo e ambiente) ma ancor più nella totale assenza di un antagonista. Questo aspetto è sicuramente il più riuscito e apprezzato, proprio perché in continuità con i titoli precedenti e perché conferma l’intenzione di continuare a intraprendere una sfida drammaturgica, questa sì, originale e stimolante che perfettamente riesce a restituire sullo schermo gli impulsi e la creatività dei tempi in cui viviamo. Peccato che però, a conti fatti, si tratti di una goccia di stupore in un oceano di mediocrità.