“Prometti castità, povertà e obbedienza a Dio?”. “No”.
Le prime immagini ci presentano la protagonista, Suzanne Simonin, donna di quasi vent'anni interpretata da Anna Karina. Costretta a prendere i voti, cerca in ogni modo di opporsi ma senza alcun risultato. La giovane donna passa attraverso due conventi, ma ognuno, per motivi opposti, è un covo di serpi. Un film dove le donne sono protagoniste: apparentemente autoritarie e forti ma in realtà frustrate, proiettano sé stesse nella protagonista, infelice e sventurata, la cui colpa è quella di essere bella e intelligente (come viene spesso ribadito nel film).
Viene creduta impossessata dal demonio, attraversa terribili penitenze, è rinchiusa in una cella spoglia, senza il necessario per vivere e con degli stracci al posto dell’abito religioso. Non la vediamo mai sorridere, è pallida, si trascina sui muri e viene assimilata ad un cadavere da calpestare senza troppi problemi. Ma lei resiste, in una ribellione silenziosa, e l’unica arma diventa la carta, in cui mette per iscritto la sua intenzione di abbandonare i voti: nonostante le sollecitazioni di Madame de Moni, è pienamente consapevole di non percepire alcun richiamo da Dio. Unica valvola di sfogo è la musica: la sua voce affascina e trasforma lei in un’attrice e il tempio di Dio in un teatro.
Ma la sua prigione interiore cresce ad ogni rifiuto che le viene dato e sente che, anche se col cuore è altrove, l’abito le si è incollato alla pelle, alle ossa, come una pesante armatura. Impossibilitata a riprendersi la sua libertà, la sua vecchia vita, viene trasferita in un altro convento, apparentemente un’isola di gioia e tranquillità: finalmente vediamo il sole, i fiori e il prato nelle poche scene di esterno a cui assistiamo. La madre superiore la riempie di attenzioni, ma l’ambiguità dei suoi atteggiamenti morbosi e la mondanità della vita delle suore la annoiano e la spaventano: rimpiange il mondo, ma non sa ancora che anche fuori da quella che per lei è una prigione, la aspettano altri problemi. La sua ingenuità e purezza viene costantemente violentata, prima psicologicamente, poi fisicamente: il prete di cui pensava di potersi fidare la attira nella sua rete, finge di poterla comprendere, le dà la possibilità di fuggire e in cambio prova a possederla. Riesce a scappare, ma il suo destino è segnato: non può essere felice nel mondo che lei tanto sognava e se prima non poteva scoprire la vita, adesso è lei incapace di farlo.
Giovane donna che anela alla vita dentro il convento, suora quando invece è fuori da questo, indossa una maschera scura che cela la sua identità agli altri e soprattutto a sé stessa e, spaventata dal mondo di lussuria da cui si sentiva distante, scappa un’ultima volta lanciandosi dalla finestra e abbandonando la vita.
Suzanne Simonin: la religieuse de Diderot è l’adattamento in pellicola di una pièce di Diderot, come ci spiega il cartello introduttivo del film. Il regista, Rivette, inoltre specifica che il film non ha come finalità quella di criticare le istituzioni religiose, ma, nonostante ciò, viene frainteso e censurato alla sua uscita nel 1966 da Yvon Bourges, segretario di stato. La sua decisione muove la solidarietà degli intellettuali, tra cui Jean-Luc Godard con una violenta lettera al ministro della “Kultur”, Malraux. Nel 1967, con il nuovo ministro alla cultura, il film esce nelle sale e rappresenta la Francia al Festival di Cannes, dove riscuote il successo che meritava.