Cosa potrebbe accadere se dalla Verona di fine '500 prendessimo Giulietta e Romeo e il loro archetipo d’amore contrastato e li catapultassimo nell’ America di Trump, esattamente nella Chicago dei giorni nostri? Ce lo racconta Michael Showalter in The Big Sick, commedia drammatica sentimentale in programmazione in questi giorni al cinema Lumiere. Ma per ribadire che spesso la realtà supera la finzione, occorre precisare che la storia che vediamo sullo schermo è ispirata alle vicende realmente accadute a Kumail Nanjiani - sceneggiatore e protagonista del film, nonché stand up comedian pakistano naturalizzato americano - e alla sua attuale moglie, l’attrice Emily V. Gordon, interpretata sul set da Zoe Kazan.

Quindi, così nella vita come nel film, dopo qualche minuetto amoroso l’autista di taxi e aspirante attore comico Kumail e la studentessa universitaria di psicologia Emily si innamorano. Nonostante il forte coinvolgimento, lui nasconde a lei la famiglia ancora fortemente legata alle tradizioni pakistane che lo vuole sposato - tramite matrimonio combinato - ad una donna rigorosamente pakistana. Quando Emily scopre che Kumail non ha avuto nemmeno il coraggio di parlare ai genitori della loro relazione decide di lasciarlo. Ma poco dopo, come Giulietta - anche se stavolta non per mano di un frate ma del destino – cade in un sonno profondo, in un coma farmacologico indotto; quel big sick del titolo che servirà a tutti i protagonisti per guardare alle cose della vita con occhi diversi.

Prodotto da Judd Apatow e ben accolto ai festival di Sundance e Locarno, il film è stato acclamato dalla critica statunitense e arriva ora in Italia con un carico di aspettative che probabilmente non rimarranno deluse. Ed in effetti ci troviamo di fronte ad una commedia romantica e divertente in cui i momenti di stand up comedy, dentro e fuori dal palco, fanno da contrappunto a quelli più drammatici e sentimentali. Il tema dell’integrazione degli immigrati, quello dei pregiudizi razziali da parte di una cultura verso un’altra, e quello ancor più universale del compromesso, della difficoltà di stare insieme (fra giovani innamorati, fra sposati di mezza età, fra amici e fra sconosciuti) sono tutti trattati con una  garbata delicatezza e al contempo con un’ironia che non risparmia nessuno. E anche i cliché che compaiono qua e là nella narrazione – e che venendo dal racconto autobiografico  di Kumail colpiscono di più la famiglia pakistana rispetto a quella americana - si fanno largamente perdonare perché da spettatori ne percepiamo il tono affettuoso, come quando si prende in giro qualcuno a cui si vuol bene.

Ma la vera sorpresa del film sta tutta nello scarto narrativo centrale, quando la storia ci suggerisce come il vero impedimento al grande amore non sia la società ma quel big sick che blocca e anestetizza ognuno di noi. Nel momento in cui Emily viene sottoposta al coma farmacologico, la commedia sentimentale che potrebbe avere degli sviluppi del tutto prevedibili cede il passo ad un controcanto più introspettivo e drammatico. E contemporaneamente entrano in azione due grandi attori come Holly Hunter e Ray Romano che interpretano i genitori di Emily, padroneggiando la scena con una recitazione misurata, incisiva e dai tempi perfetti. Senza nulla togliere alla sceneggiatura e alla regia, che fanno di questo tempo sospeso la parte più vera e sentita del film, la parte in cui i personaggi fanno i conti con le loro debolezze, le loro fragilità ma anche con i loro desideri sopiti e le loro forze.

La forma di racconto autobiografico, che adotta spesso i modi, i tempi e i ritmi da stand up comedy, da una parte regala alla pellicola una freschezza che consente di parlare di sentimenti e accadimenti tragici della vita con leggerezza, dall’altra ci allontana in modo equidistante sia dal rischio noia del resoconto politicamente corretto che dal dramma di una love story a caccia di lacrime.

Il risultato di questo insieme di ingredienti, abbastanza insolito nella filmografia americana degli ultimissimi anni, ci regala insomma una commedia riuscita e in perfetto equilibrio fra sentimento e dramma, fra riflessione e risata, fra vita e finzione.