“Non bisognerebbe fare soldi lodando il Signore” dice la lapidaria madre della protagonista di Gli occhi di Tammy Faye, che ripercorre la parabola di un famosa coppia di telepredicatori USA – Tammy Faye, appunto, e suo marito Jim Bakker – che con i sermoni dell’uno e le performance canore dell’altra costruì tra gli anni ’70 e gli ‘80 un vero e proprio business della televendita religiosa. Un colosso dai piedi d’argilla, messo insieme sottraendo fondi dalle cospicue donazioni dei fedeli, e infine travolto e affossato dal tracollo economico e dagli scandali sessuali. Una storia che permette di addentrarsi nell’inquietante mondo dell’ultra-cristianesimo americano, capace di creare oltreoceano delle potenti chiese personali e di trasformare gruppi e cantanti cristiani in vere e proprie star. 

Al centro del film c’è Tammy Faye, interpretata con mimesi fisica e vocale da una splendida  Jessica Chastain che riesce a rendere credibile una donna dalle molte contraddizioni, determinata ma schiacciata dal ruolo di “moglie”, spinta da un fervore e da un’incoscienza non del tutto innocente (quando non evidentemente colpevole) che la rende insieme vittima, complice e connivente. A riscattarla è soprattutto il suo cercare di essere autenticamente accogliente e comprensiva, la sua volontà di amare il prossimo così com’è, nel tentativo di trovare, toccare ed essere toccati, e  infine salvati da un Dio invocato a gran voce.

Un coacervo di ambiguità che la regia media e solo corretta di Michael Showalter non riesce a sfruttare fino in fondo. Una mano più sicura e una visione più chiara avrebbero saputo mettere ordine in una sceneggiatura che affastella eventi, personaggi e temi (i traumi personali della protagonista, la falsa morale, il maschilismo e gli interessi economici dietro queste congreghe e i loro legami con i politici repubblicani) senza riuscire a centrarne nessuno. Il risultato è un ritratto incredibilmente tenue e accomodante di una realtà dai risvolti ben più estremi e luciferini.

Nominare di sfuggita Reagan e Bush senior non basta per dire qualcosa su quei 20 milioni di telespettatori che ogni giorno seguivano da accaniti fan la santa coppia. Meglio faceva Tonya nel raccontare, pigiando sul pedale del grottesco, la voglia di rivalsa della white trash americana; più sinceri i film di Stephen Cone (da recuperare su Mubi) nel rievocare quell’America profonda e religiosissima di cui Tammy e sua madre (divorziata piena di vergogna) sono perfette rappresentanti.

Dei protagonisti e del loro mondo restano impressi soprattutto gli accecanti vestiti sintetici dai colori fluo, i quintali di trucco, le vistose e superflue pellicce che indossano, le montagne di moquette, marmi e ori che adornano le  loro case. Una fiera del camp anni ’80 che fa sembrare certe case dei mafiosi viste in TV delle rigorose celle francescane. “Beati i poveri in spirito, perché loro è il regno dei cieli”.